SCUOLA E INTELLIGENZA: NATURALE, ARTIFICIALE O COMANDATA
Un'interessante e attuale riflessione dell'Ing. Adelfo Paternò Castello.
La scuola, da sempre, è il luogo dove si entra bambini e si esce adulti. La loro formazione riguarda essenzialmente lo sviluppo dell’intelligenza per mettere la persona in grado di affrontare il mondo, di vivere la società, di diventare importante per qualcuno. Tutti abbiamo in mente due modelli di formazione ben precisi. Uno è la paideia greca, con un saggio che siede in circolo con i discenti dialogando e facendo crescere in ciascuno il senso critico, il rigore dell’analisi, la profondità della sintesi, l’eloquio disinvolto. E l’altro modello è il “Mister Chips” del romanzo di inizio ‘900. Il docente-padre, attento alla formazione dell’anima, comprensivo e rigoroso, capace di diventare un riferimento affettivo oltre che culturale. Ed è per questo che le disposizioni europee degli ultimi venti anni, che si rifanno a richieste della lobby degli industriali, appaiono per lo meno preoccupanti.
Card. Zuppi: coraggio e unità
Pubblichiamo l’omelia che il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha pronunciato giovedì 25 maggio in occasione della Santa Messa concelebrata nella Basilica di San Pietro.
Questa celebrazione che ci vede riuniti intorno a Pietro, accolti e sostenuti dalla presenza di colui che presiede nella comunione la nostra comunione, ci aiuta a contemplare cos’è la Chiesa, ci offre un’icona della sua realtà umana e spirituale, che non è mai idealizzata o virtuale. Veniamo tutti dalle nostre tante Emmaus e portiamo con noi la tristezza di quei tanti pellegrini con il cuore gonfio di disillusione, ferito, aggressivo e amaro perché le speranze erano finite. Tra questi, il cui volto e vicenda portiamo nel cuore, ricordo l’angoscia che grava nell’anima del popolo Ucraino che anela alla pace e quanti piangono qualcuno che non è tornato più, inghiottito dalla macchina di morte fratricida che è la guerra. Il Signore continua a farsi pellegrino (lui sì e noi no?), non si stanca di cercarci e ci spinge a metterci per strada per incontrare tanti, per liberare da un destino senza comunità, per scaldare cuori spenti e farli ardere di amore e di speranza. Il Signore non smette di donarci il suo Spirito perché la vita non si chiuda negli orizzonti mediocri di Emmaus, magari a discutere tutti i giorni del passato ma senza futuro, fuori dalla storia. Essere qui, al termine di quasi due anni di Cammino sinodale, è una grande emozione che ci sintonizza di nuovo con i fratelli e le sorelle e con questa nostra Madre Chiesa che tutti ci accoglie e continua a generarci a figli. Come i due di Emmaus anche noi troviamo Pietro che conferma la nostra fede. Con lui troviamo un popolo grande, che accoglie tutte le etnie perché popolo santo di Dio. Un popolo ma sempre una famiglia che ci chiede di vivere con lo stile e i sentimenti della famiglia, non da funzionari anonimi, anche zelanti ma con il cuore e gli affetti da un’altra parte o che si coinvolgono solo a quello che interessa il proprio protagonismo o ruolo. La nostra è la casa di un Padre che ricorda sempre che tutto quello che è suo è nostro, e anche viceversa, che tutto ciò che abbiamo diventa davvero nostro proprio perché insieme. Solo un cuore largo e cattolico ci libera da misure avare e paurose e ci aiuta a scoprire e riscoprire il mondo, tutto, senza confini. Il mondo inizia sempre da ogni persona, da un incontro, scoprendola nella sua grandezza e unicità, amandola perché non è un’isola e non lo sia. Quanto c’è bisogno di amore gratuito, vero e non virtuale, legame umano e affettivo! È il legame che ci ha unito e ci unisce ai “tutti” per i quali Gesù spezza il suo pane. Qui, oggi, frutto e fonte di tanto concreto amore, lo contempliamo in pienezza, ma avviene ordinariamente, molto più di quello che pensiamo, nel nostro camminare insieme, cioè nella sinodalità.
Lettera a chi manifesta per la pace. Testo integrale da Avvenire 3 novembre 2022
Cara amica e caro amico,
sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.
Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!
Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo! Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.