Paternò Cadello AdelfoUn'interessante e attuale riflessione dell'Ing. Adelfo Paternò Castello.
La scuola, da sempre, è il luogo dove si entra bambini e si esce adulti. La loro formazione riguarda essenzialmente lo sviluppo dell’intelligenza per mettere la persona in grado di affrontare il mondo, di vivere la società, di diventare importante per qualcuno. Tutti abbiamo in mente due modelli di formazione ben precisi. Uno è la paideia greca, con un saggio che siede in circolo con i discenti dialogando e facendo crescere in ciascuno il senso critico, il rigore dell’analisi, la profondità della sintesi, l’eloquio disinvolto. E l’altro modello è il “Mister Chips” del romanzo di inizio ‘900. Il docente-padre, attento alla formazione dell’anima, comprensivo e rigoroso, capace di diventare un riferimento affettivo oltre che culturale. Ed è per questo che le disposizioni europee degli ultimi venti anni, che si rifanno a richieste della lobby degli industriali, appaiono per lo meno preoccupanti.

Sin dagli anni ’60, nel mondo industrializzato, c’è una volontà politica precisa di orientare i sistemi didattici verso alcuni principi preoccupanti: 1) la digitalizzazione; 2) l’imprenditorialità; 3) la competizione. E questo, per quanto riguarda l’Italia (ma non solo…) lo si riscontra nelle raccomandazioni Europee, nelle linee di indirizzo del ministero Italiano (che si rifà a quelle linee programmatiche aggiungendo delle procedure di attuazione). Per esteso, le 8 Competenze-Chiave dettate dall’UE sono: Comunicazione nella lingua madre, Comunicazione in lingua straniera, Competenza matematica e competenze di base in scienze e tecnologie, Competenza digitale, Imparare ad imparare, Competenze sociali e civiche, Spirito di iniziativa e imprenditorialità.
Manca qualcosa? Certo: dove sono finite storia, letteratura, filosofia? Dove sono finite le materie che sono alla base del ragionamento, le materie di studio che, utilizzando al meglio la lingua madre che si apprende fin da bambini, insegna a ragionare e scegliere autonomamente?
E se poi ci riferiamo all’attuazione di queste raccomandazioni UE da parte del nostro ministero ecco che compaiono altri aspetti preoccupanti: il MIUR ora si chiama “MIM: Min. Istruzione e merito”, si preferisce (fin dalle elementari!) lo sviluppo dell’insegnamento per competenze piuttosto che per conoscenze. Insegnare per “competenze”, che dovrebbero anche essere certificate, vuol dire prevedere in anticipo quali saranno le competenze che si richiederanno il giorno che gli studenti entreranno nel mondo del lavoro. Addirittura, si parla di orientamento professionale a partire già dagli undici anni. Invece di sviluppare nei ragazzi una intelligenza (naturale) autonoma e imprevedibile nella sua ricerca di interessi per il futuro lavorativo, lo si indirizza verso scenari già preconfezionati: il suo futuro deve essere già delineato. E senza lo sviluppo di un senso critico, l’effetto è di adattare la loro ignoranza ad una realtà data a priori, evitando che utilizzino le loro conoscenze (di recente si è sentita una dirigente scolastica affermare che “è ora di finirla con la scuola della cultura!”) per scegliere o immaginare qualcosa che non è già predisposto.
E una delle volontà dell’Europa è di introdurre l’Intelligenza Artificiale nelle scuole. L’enciclopedia Treccani definisce l’I.A. come “… quel settore dell'informatica che studia la possibilità di costruire computer che siano in grado di riprodurre il funzionamento di alcune capacità della mente umana o, nel caso della cosiddetta intelligenza artificiale forte, dell'intero pensiero umano.”
Secondo altri autori, permette ai sistemi informatici di esplorare il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e decide autonomamente.
I sistemi di IA sono capaci di adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia.
Però l’I.A. è, in definitiva, un software, un insieme di algoritmi. Ciò che il programmatore non ha previsto nel programma non può neanche essere “appreso” dal computer che usa quel software. Si può parlare di “logica sfumata” (fuzzy logic), di reti neurali, di decisione multicriteriali. Ma tutto questo aiuta nell’esecuzione di un programma preorganizzato, in cui esistono dei limiti sia perché dettati dal programmatore (tipo le “tre leggi della robotica” descritte da Asimov[1]), sia perché il programmatore non ha previsto la possibilità di seguire quella particolare via, non ha dettato in maniera univoca cosa va notato dall’ambiente circostante per cui si possa apprendere. È un po’ come il giocatore di poker professionista che da un semplice e fugace movimento di uno dei muscoli del viso, o da una particolare posizione di una mano, financo dalla respirazione o da un tic nervoso, riesce a comprendere che gioco ha in mano l’avversario. Ma questo modo di giocare non è predefinito, se non lo si sa fare, nessuno può insegnarlo ad un software anche auto-apprendente. Perché sono comportamenti umani e affondano la loro origine non nella logica, non nella ragione, non nella memoria, ma nel sentimento, influenzato anche da altri sentimenti in maniere anche uniche da individuo ad individuo. C’è chi è particolarmente sensibile agli odori (come i cani, per esempio) o alla luce degli occhi, che so, volendo anche a contatti telepatici o empatici. Come si fa a descrivere in maniera univoca una sensazione? Non appena si vuole definirne i confini si sbaglia. Ecco, un software non può assolutamente lavorare su dati incerti e variabili, deve per forza applicare regole matematiche riproducibili riferite ad azioni misurabili.
In altre parole, un computer che lavora con un software di I.A. è ANEMOTIVO! Si potrebbe dire che il limite dell’I.A. è l’illuministica che ha stabilito il vero grande limite della Scienza: se un evento non è ripetibile, misurabile, descrivibile, allora non è un evento deterministico ma un evento casuale, quindi non esiste… tutti sappiamo subito che tale affermazione suona male. L’Amore, che praticamente tutti proviamo, è misurabile? Si può riprodurre uguale a sé stesso? Si può descrivere in un modo valido per tutti? Ovviamente no. Allora dovremmo dire che non esiste? Per una I.A. certamente si, ma non perché è una macchina “cattivella”, solo perché nessun programmatore può inserire un algoritmo dell’amore nel suo software!!! Con buona pace degli stregoni che vendono i filtri d’amore…
Ecco perché l’I.A., in sé, non mi preoccupa, neanche se introdotto nelle scuole. Ma c’è altro, molto più preoccupante.
Invito a riflettere sull’enorme differenza fra un testo scritto su carta e un testo multimediale interfacciato in tempo reale con un data base consultabile sulla rete internet. È un po’ la storia dell’unicorno: quando i viaggiatori – esploratori tornavano dall’Africa e descrivevano terribili strane creature, tra cui il rinoceronte, chi non l’aveva mai visto dalla descrizione orale immaginava un magnifico etereo unicorno, elegante e affascinante. Oggi, un ragazzo che per la prima volta sente parlare del rinoceronte si collega a internet e lo vede immediatamente, senza neanche ricorrere alla fantasia. Ecco: questo continuo adoperare i mezzi informatici, la gigantesca mole di dati presente su internet, l’immensa quantità di stupidaggini e fake news della rete informatica, toglie ogni poesia dell’immaginazione, elimina la possibilità di creare un proprio mondo di pensieri e immagini di fantasia, riduce la capacità di formare un pensiero autonomo. Sembra proprio che ci sia un disegno superiore (umano..) di creare una “Intelligenza Comandata”.
E quando sento “digitalizzazione”, “didattica per competenze”, “libri multimediali”, penso che si voglia impedire l’esercizio della mente, la capacità di ragionare autonomamente, si vuole rendere inutile quella didattica della conoscenza che impone un contatto continuo con un docente che insegni a ragionare, a elaborare le informazioni. E allora il pensiero di chi viene così formato si avvia ad essere del tutto “artificiale”, perché preordinato, stabilito a priori da chi ha preparato i contenuti multimediali. E in un simile panorama, il docente tradizionale, quello della Paideia greca, il “mister Chips”, non serve più, può tranquillamente essere sostituito dal docente artificiale, da una I.A. Perché è controllabile, indirizzabile e può creare una intera generazione di persone irregimentate, che mai avranno un pensiero divergente.
Del resto il ministro Italiano si è più volte fatto sfuggire che a scuola di devono dare competenze non cognitive, si deve “addestrare” l’alunno…
E, applicando per intero il quadro di riferimento delle competenze chiave, si può ricordare che lo stesso ministro Berlinguer asseriva che occorre “superare l’impianto storicistico della scuola italiana”! ciò è aberrante perché se non si conosce la storia non si sa che ci sono altre strade percorribili. Se non si sa che è esistito Ghandi, Mandela, si può essere convinti che solo la guerra, la violenza, può risolvere i conflitti culturali, razziali, territoriali.
Un mondo così costruito, con l’intelligenza comandata, non educherà le persone alla bellezza ma solo al consumo. La distinzione sarà fra chi crea impresa e chi ne è cliente, tra chi ha merito e chi va gettato dalla rupe Tarpea. La società sarà solo una concentrazione di popolazione, cesserà del tutto la solidarietà (c’è il merito che è più importante). Già, perché uno degli altri obiettivi della scuola “4.0” è di annullare i gruppi-classe e diminuire al massimo il rapporto univoco docente-studenti.
Il prossimo passo? Sostituire i docenti, “inutili” veicoli del pensiero naturale, con molto più efficienti automi mossi da I.A. Nessuno, in un ambito di pensiero artificiale potrà in futuro competere con un computer mosso da Intelligenza Artificiale.
Ciò che salva l’uomo è la fantasia, l’arte, l’innovazione. La Religione e la solidarietà.

[1] Le tre leggi della robotica sono state formulate dallo scrittore di fantascienza Isaac Asimov nel 1942. Esse regolano il funzionamento del cervello dei robot:1. Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno. 2.Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge. 3.Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non    contrasti con la Prima e la Seconda Legge.