MontiIl Prof. Alessandro Monti è Ordinario di Teoria e politica dello sviluppo già Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Camerino (MC). Propone un approfondimento sulla situazione attuale dell’Europa in vista delle prossime elezioni.  Per il Movimento Rinascita Cristiana Alessandro Monti ha scritto: “Una profezia a fecondità differita. Dalla Pacem in Terris all’Evangelii Gaudium nel segno dei diritti dei poveri” Quaderno di Rinascere n. 14., dicembre 2014.
Il lungo e tormentato iter per la costruzione di una Europa unita avviato nel dopoguerra con il Trattato di Roma del 1957 e la creazione della CEE e della CECA, non sembra arrivato alla sua conclusione.  Siamo tuttora alla ricerca di una coerente identità politica nello spazio pubblico europeo. Appare non solo lontana l'unificazione politica e fiscale dopo quella commerciale e monetaria. Ma resta incompleta anche la dimensione sovranazionale delle istituzioni dell'Unione Europea (UE) create dai vari Trattati che si sono succeduti in questi ultimi anni. Prevale invece la dimensione intergovernativa con ricorrenti vertici tra capi di Stato o di Governo.   Paradossalmente la dimensione sovranazionale del Parlamento Europeo istituito nel 1979 si esprime pienamente solo al momento delle consultazioni elettorali
A ben vedere la difficile integrazione tra i 27 Stati Membri della UE riflette l'affievolito   interesse dei loro cittadini per le questioni comunitarie, ritenute distanti e ininfluenti.  Interesse che il sistema mediatico non contribuisce a suscitare e accrescere e che la modesta partecipazione al voto (attorno al 50% degli aventi diritto) testimonia emblematicamente.
Cosa si può fare per superare questa situazione di stallo e rilanciare il processo di integrazione europea su nuove e più condivise basi comuni?

L’attuale situazione
del Parlamento Europeo

  Il Parlamento Europeo ha tentato di fronteggiare l'impasse    approvando il 22 novembre 2023 una risoluzione con dettagliate proposte di riforma dei Trattati europei - Trattato sull’Unione europea (TUE), Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) e Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDF). - incluso il superamento del potere di veto ora riconosciuto ai singoli Stati nelle riunioni del Consiglio Europeo. che spesso paralizza importanti provvedimenti di interesse generale.
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                  VALORI FONDANTI DELL'UNIONE EUROPEA

Articolo 2
L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

Articolo 3 - La pace 
1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

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Nulla vieta però di lavorare alla messa a punto di un trattato completamente innovativo che, partendo dagli irrinunciabili valori fondanti dell'UE (vedi box), realizzi una comunità politica europea allargata.  Un nuovo Trattato di taglio  più politico strategico che giuridico istituzionale - come quelli attualmente in vigore - che, in un contesto caratterizzato da   diffusa incertezza  e da multilateralismo instabile e imprevedibile, affidi all'UE un ruolo di riequilibrio internazionale,  quale  interlocutore forte  e  autonomo a livello mondiale  in politica estera  e di difesa, tanto più autorevole se include  tra i suoi organi un Parlamento eletto in rappresentanza di oltre 450 milioni di cittadini.  rafforzato da una adeguata flessibilità politica del proprio ordinamento e da una sua effettiva sovranazionalità. 
In Italia l'attenzione mediatica ha finora dedicato poco spazio alla prossima tornata elettorale europea. Eppure, anche se scarsamente percepito, gran parte delle nostre scelte quotidiane è sempre più influenzata dalle decisioni assunte dalle istituzioni europee che hanno al loro centro proprio il Parlamento Europeo (PE), la cui effettiva composizione, per famiglie politiche e non per delegazioni nazionali, è cruciale. 
Per rendere i cittadini europei più consapevoli dell'importanza delle loro scelte elettorali è necessario richiamare l'attenzione sui principali temi da fronteggiare nel nostro continente e sulle strategie annunciate dai partiti politici in campo. Si tratta dunque di porre al centro della discussione le questioni sulle quali il Parlamento e le altre istituzioni europee sono chiamate a operare nell'interesse della popolazione europea e delle buone relazioni politiche internazionali.
Per esprimere un voto avvertito e favorire una maggiore partecipazione dei cittadini elettori servono elementi conoscitivi utili a valutare il ruolo del PE   nell'assetto costituzionale   dell'Unione Europea.

Funzioni e compiti
secondo 
gli ultimi trattati

 Si tratta innanzitutto di conoscere le funzioni e i compiti del PE così come ridefiniti dai Trattati di Nizza (2000) e di Lisbona (2009). E cioè dal Trattato sull’Unione europea (TUE), dal Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDF).             Serve poi richiamare i nodi strutturali europei da sciogliere con l'azione comunitaria e le questioni emergenti che coinvolgono la UE, rispetto ai quali giocano un ruolo fondamentale le priorità dell'Agenda strategica fissate dal Consiglio Europeo che orienta l'attività del PE nel quinquennio di durata in carica.
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                             AGENDA STRATEGICA DELLA UE
L'Agenda Strategica 2019-2024 concordata dal Consiglio Europeo a Bruxelles il 30 giugno 2019 era incentrata sulle seguenti 4 priorità:
- proteggere i cittadini e le libertà;
- sviluppare una base economica solida e dinamica;  
- costruire un'Europa verde, equa, sociale e a impatto climatico zero;
- promuovere gli interessi e i valori europei sulla scena mondiale
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Si deve inoltre tenere conto dello strumento fondamentale per consentire agli organi di governo della UE di funzionare e svolgere i loro compiti istituzionali: le risorse finanziarie. Queste vengono convogliate nel bilancio di lungo periodo (Quadro Finanziario Pluriennale QFP) e spese mediante un bilancio annuale articolato in impieghi e pagamenti e rispetto ai quali il PE insieme a Consiglio Europeo e Commissione Europea ha un peso rilevante sia nella definizione del volume delle risorse e della sua destinazione che nella scelta delle relative fonti di copertura.
Va infine considerato il contesto politico ed economico interno e internazionale in rapida evoluzione nel quale si svolgono le consultazioni per eleggere la decima legislatura del PE.

Le funzioni legislative codecise 
dal Parlamento Europeo

Prima esclusivamente consultive, le funzioni del PE in questi ultimi anni si sono estese al processo legislativo in numerose materie (Ambiti). Le funzioni legislative sono esercitate sia attraverso regolamenti   esecutivi in tutti gli Stati Membri (a es. tariffe di roaming), sia attraverso   direttive (a es. divieto di plastica monouso) da rendere operanti con appositi atti normativi nazionali (in Italia la Legge   comunitaria annuale).  L'attività legislativa del Parlamento Europeo (PE) è condivisa con il Consiglio dell'Unione Europea (CEU), detto anche Consiglio dei Ministri composto dai capi di Stato o di Governo dei 27 Stati Membri e presieduto a rotazione di turni semestrali dal Governo di uno Stato Membro. Dopo il Trattato di Nizza del 2000 - che ha attribuito al Presidente della Commissione Europea (CE) il potere di scegliere i vicepresidenti e le responsabilità da attribuire ai membri della Commissione designati dai vari governi - e il Trattato di Lisbona del 2009 (Trattato sull'Unione Europea), il PE partecipa a pieno titolo in posizione di parità al processo legislativo europeo. Deve tenere conto però delle priorità e degli indirizzi politici generali della UE (Agenda Strategica) stabiliti dal Consiglio Europeo (detto Consiglio) che si riunisce periodicamente quale organo di governo con un presidente che dura in carica 30 mesi (Charles Michel).
Il Trattato di Lisbona attribuisce al Consiglio Europeo una competenza esclusiva nella Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e nell'esame del processo di integrazione europea. Si tratta di un organo di governo anomalo, che presenta rischi di sovrapposizioni di competenze con le altre istituzioni europee.
Gli Ambiti nei quali Consiglio della UE e Parlamento legiferano in comune sono oltre 40, alcuni dei quali di grande rilevanza politica e sociale come la liberta, la sicurezza e la giustizia, il commercio estero (prima solo interno), la politica ambientale e la politica agricola comune (PAC). Mentre le residue funzioni consultive del Parlamento restano quelle in materia di regime fiscale, di concorrenza e di armonizzazione delle legislazioni non correlate al mercato interno. 
Prima che sia troppo tardi, oltre a dichiarazioni di intenti, la CE dovrebbe assumere concrete iniziative diplomatiche per il cessate il fuoco e la pace in Ucraina e in Palestina con l'Italia tra i promotori seguendo gli accorati appelli di Papa Francesco; e delle associazioni e dei movimenti pacifisti. E soprattutto per rispettare il dettato dell'articolo 3 del Trattato dell’Unione Europea: "l'Unione si prefigge di promuovere la pace"

Sostenere decisamente una politica sanitaria che punti alle cure domiciliari alle persone fragili e ai disabili e completi il riconoscimento e l'esercizio dei diritti dei pazienti all'assistenza sanitaria transfrontaliera in tutti i Paesi UE resta il nodo da sciogliere più sentito dalla maggior parte delle popolazioni dei paesi dell'UE.
 
Infine, va valutata l’opportunità di unificare le presidenze di Commissione Europea e Consiglio europeo per una maggiore coerenza, unitarietà e certezza decisionale nelle politiche UE evitando rischi di divergenti posizioni tra organi istituzionali di governo

Composizione politica del parlamento e definizione degli obiettivi dell'azione comunitaria

La definizione degli obiettivi strategici del nuovo Parlamento Europeo e delle modalità di realizzazione dipende dalla costruzione delle alleanze tra i partiti nazionali. Resta cruciale dunque la composizione politica che assumerà il PE il quale è articolato per famiglie politiche e non per delegazioni nazionali 
Nella  Legislatura attuale  (IX)  prevale  l'alleanza  formata dai  Gruppi del Partito  Popolare Europeo PPE (177), dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici S&D (144) e Gruppo del Renew Europe  (Alleanza dei Liberali e Democratici Europei ALDE e altri Gruppi NI come i centristi di Europe en March  (102), appare  destinata a essere sostituita  da una nuova alleanza tra il PPE  e Il Partito dei Conservatori e Riformisti Europei presieduto da Giorgia Meloni  ove quest'ultimo avesse un grande successo elettorale. 

Il bilancio della UE e il ruolo del quadro finanziario pluriennale (QFP). Composizione e destinazione delle risorse. Le entrate del bilancio comunitario

La messa a punto di programmi di azione in grado di rendere operanti gli obiettivi strategici dell'Unione Europea richiede di poter contare su un bilancio in grado di garantire il buon funzionamento degli assetti istituzionali e delle strutture organizzative e sul sostegno dell'opinione pubblica degli Stati Membri sondata sistematicamente da Eurobarometre
Il bilancio comunitario articolato in 10 sezioni è alimentato da 4 fonti di finanziamento; 1. Imposte sulle importazioni di benib agricoli; 2. Dati doganali sul commercio di beni non agricoli; 3. Lo 0,5 % dell'IVA: 4. Eventuali contributi integrativi degli Stati Membri in percentuale del loro PNL.
Approvato dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione europea su proposta della Commissione Europea, il progetto di Bilancio Annuale si muove sulla falsariga del bilancio a lungo termine dell’UE, il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), che fissa il limite delle risorse finanziarie a disposizione dell'UE nella legislatura per le diverse politiche pubbliche. Dopo la crisi pandemica; l'estensione temporale del bilancio a lungo termine è stata portata da cinque a sette anni. Per il periodo 2021- 27 può contare complessivamente su 2023 miliardi di euro, di cui 1216 miliardi per la gestione ordinaria del QFP e 807 miliardi per lo strumento finanziario straordinario della Next Generation UE (NGEU) deliberato nel 2020 per la resilienza e ripresa dopo il Covid 19.
L'ammontare degli impegni annuali di bilancio per il 2024 risulta aumentato rispetto al 2023: da 187 a 189 miliardi di euro; mentre i pagamenti sono diminuiti da 168 a 144 miliardi di euro per la maggior parte destinati a investimenti. Le modalità di erogazione degli aiuti comunitari variano dalle sovvenzioni ai sussidi a fondo perduto e ai prestiti agevolati gestiti dalla Commistione Europea d'intesa con gli Stati membri. Un caso particolare di emergenza è il finanziamento degli aiuti militari all'Ucraina di 50 miliardi stanziati nel 2024.
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            La ripartizione settoriale delle risorse disponibili nel bilancio                                     di lungo periodo della UE

    • mercato unico, innovazione e agenda digitale: 151,3 miliardi 
    • coesione, resilienza e valori: 429,4 miliardi 
    • risorse naturali e ambiente: 401 miliardi 
    • migrazione e gestione delle frontiere: 26,2 miliardi di EUR
    • sicurezza e difesa: 14,9 miliardi di EUR
    • vicinato e resto del mondo: 110,6 miliardi 
    • pubblica amministrazione europea: 82,5 miliardi
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Il bilancio a lungo termine dell’UE comprende aiuti a milioni di studenti, migliaia di ricercatori, città, imprese, regioni e ONG. Contribuisce alla produzione di alimenti più sani e sicuri; strade, ferrovie e aeroporti nuovi e migliori.
Nell’ambito dell’attuale bilancio a lungo termine, la Politica agricola comune (PAC) dell’UE e la politica comune della pesca e dell’ambiente   ricevono la maggior parte dei finanziamenti. Seguono i programmi di coesione che mirano a ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni dell’UE. Il bilancio a lungo termine finanzia anche progetti internazionali di aiuto umanitario e allo sviluppo.
Le spese annue di funzionamento dell'amministrazione dell'Unione Europea ammontano a poco più di 11 milioni di euro con circa 32 mila impiegati. Meno delle spese per l'amministrazione del Comune di Roma (oltre 14 milioni di euro).
Sul piano della valutazione della congruità delle risorse finanziarie necessarie a realizzare il progetto strategico  quinquennale  un recente studio  del think tank BRUEGEL (Brussels European and Global Economic Laboratory) con sede a Bruxelles, calcola  in 1800 miliardi di euro i fondi attualmente a disposizione del bilancio  UE nel periodo 2021- 2027: circa 257 miliardi di euro l'anno per spese correnti e investimenti sui temi definiti prioritari come transizione verde, digitalizzazione,  difesa e sicurezza, ricostruzione dell'Ucraina e sanità. Sono considerate risorse del tutto insufficienti se si considera che il solo fabbisogno per gli obiettivi del "green deal" è stimato in oltre 356 miliardi di euro l'anno. 
Per fronteggiare pienamente i temi prioritari si rende dunque necessario un bilancio europeo molto più consistente con maggiori oneri a carico dei cittadini dei vari Stati membri, il cui importo aggiuntivo dovrebbe essere portato a loro conoscenza dai partiti politici che si candidano a essere votati al PE.
La piena realizzazione degli investimenti per i progetti indicati nel NGUE richiedono comunque di coinvolgere anche fondi già stanziati per la coesione sociale per contenere i rischi di accentuazione delle diseguaglianze. In questa direzione si è mossa l'Italia nella recente rimodulazione degli obiettivi nelle varie missioni.
Per quanto riguarda il PNRR italiano da completare entro il 2026 esistono obiettive difficoltà di spesa tenuto conto che si tratta di oltre 220 mila progetti anche di piccole dimensioni e la metà delle risorse disponibili è stata trasferita a enti pubblici locali e a soggetti privati esecutori.  

Il quadro politico ed economico internazionale nel quale si svolgono le elezioni del nuovo parlamento europeo

Le condizioni politiche, economiche e sociali nelle quali i cittadini dei Paesi della UE si apprestano a votare sono assai diverse e più problematiche rispetto a quelle del 2019.
Sul piano politico internazionale pesa soprattutto la presenza di due guerre a ridosso dei confini europei e la crisi energetica e le difficoltà della transizione ecologica.
Sul piano economico pesa la coda della crisi produttiva di origine pandemica combinata ai negativi effetti di ritorno delle sanzioni alla Russia. I maggiori costi e i più prezzi a carico di produttori e consumatori seguiti alla flessione degli scambi commerciali, provocano ancora diffusi rallentamenti nella crescita del PIL nei Paesi UE e nuove diseguaglianze sociali. In particolare l'indebolimento della trainante economia tedesca si ripercuote soprattutto sui paesi più integrati nelle sue catene del valore, come Olanda e Italia. Accanto alle indubbie   opportunità, incombono inoltre i rischi occupazionali derivanti dalla progressiva e incontrollata introduzione dell'intelligenza artificiale (AI) in vari comparti del terziario, della comunicazione e dei servizi alle imprese. Secondo l'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano nei prossimi 10 anni in Italia verranno perduti oltre 3, 8 milioni di postoli di lavoro sostituiti dalla IA.
Né vanno sottovalutate le conseguenze in termini di sicurezza alimentare dopo la recente decisione della presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen di sospendere il regolamento per la riduzione dell'uso dei pesticidi nelle coltivazioni a seguito delle proteste degli agricoltori e la plastic tax (del 2021) sui residui non riciclati degli imballaggi di plastica.
Deve ritenersi infine che la partecipazione alle elezioni e il suo esito saranno influenzate anche  dall'insoddisfazione di gran parte  dell'opinione pubblica nei confronti degli attuali organi di governo dell'UE sia per le  inadeguate  iniziative politico diplomatiche per ottenere il cessate il fuoco e l'avvio di trattative di pace nella guerra tra Russia e Ucraina; sia per  il mancata sostegno  della risoluzione delle Nazioni Unite  per la sospensione immediata dei massacri di civili palestinesi a Gaza da parte del Governo israeliano, come richiesto più volte da Papa Francesco e dai movimenti pacifisti. 

Considerazioni conclusive:
la posta in gioco

La posta in gioco del prossimo voto per il PE non si limita alla scelta delle persone che faranno parte del governo europeo, cioè i componenti della Commissione Europea uno per ciascun Stato membro.  La delegazione più numerosa di deputati nel Parlamento giocherà un ruolo chiave nella scelta non solo del suo presidente ma anche di quello della Commissione e dei suoi componenti destinati ad avere una posizione cruciale anche all'esterno della UE. A esempio una forte rappresentanza dei Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR) presieduto da Giorgia Meloni e notoriamente su posizioni di destra e di estrema destra contrarie al federalismo europeo e in linea con il partito repubblicano americano potrebbe influenzare l'esito delle elezioni americane favorendo la vittoria di Trump con effetti controversi e destabilizzanti sulla politica internazionale. Inevitabili potrebbero essere i risvolti in termini di progressivo disimpegno USA e dunque NATO nel sostegno all'Ucraina con mancato pagamento dei 61 miliardi di dollari stanziati dal Governo democratico di Biden. Se è augurabile il vantaggio di una tempestiva sospensione delle ostilità (cessazione del fuoco) e l'avvio di negoziati diplomatici per la pace, alla UE resterebbe il maggior peso della guerra: sia quello politico e finanziario che quello economico interno delle sanzioni e della ricostruzione dell'Ucraina.
Galvanizzata dalle emergenti guerre in Ucraina e in Medio Oriente l'attenzione mediatica ha trascurato i temi delle prossime elezioni europee concentrandosi soprattutto sulla decisione dei leader di partiti politici italiani se candidarsi o meno come capilista pur non avendo alcuna intenzione di svolgere le funzioni di eurodeputato a Strasburgo, con il rischio di favorire il disinteresse per le elezioni europee e ridurre l'affluenza alle urne.
Il nuovo Parlamento Europeo potrebbe svolgere una funzione cruciale per il rilancio del ruolo politico strategico dell'UE sul piano delle relazioni internazionale, su quello della transizione ecologica come su quello della crescita delle economie dei Paesi Membri attraverso la promozione di un debito comune europeo (eurobond) che stimoli gli investimenti pubblici (sanità e scuola) e le riforme istituzionali in tema di concorrenza e giustizia.

Merita infine richiamare sinteticamente ancora una volta i principali nodi da sciogliere sono di carattere economico-finanziario e politico istituzionale. 
1. Prima di tutto il tema della politica estera e della difesa comune che include la scelta di creare o meno un unico esercito europeo con vantaggi in termini di risparmi di risorse finanziarie. Tanto più importante considerato il disimpegno annunciato da Tramp in caso di una sua nuova Presidenza USA con il mancato intervento USA in difesa di una eventuale aggressione all'Europa.
2. La necessità di concentrare le spese del bilancio europeo sulla produzione di beni pubblici europei, in particolate le infrastrutture transfrontaliere e i grandi centri di ricerca per migliorare la competitività e la qualità della vita.
3 Il rispetto dello stato di diritto e delle regole fiscali comuni ponendo la domanda: La ratio è quella della maggiore coesione e integrazione tra i membri dell'UE.
4 Se politica dell'immigrazione debba essere attuata a livello europeo e non dai paesi più direttamente coinvolti dai flussi migratori come Italia e Grecia.
5. Infine, va valutata l’opportunità di unificare le presidenze di Commissione Europea e Consiglio europeo per una maggiore coerenza, unitarietà e certezza decisionale nelle politiche UE evitando rischi di divergenti posizioni tra organi istituzionali di governo.

Gli organi di governo dell'UE potranno sciogliere i nodi indicati e realizzare gli obiettivi strategici solo se l’opinione pubbliche dei Paesi Membri saranno solidali. Per svolgere il proprio ruolo a favore del bene comunitario il Parlamento Europeo deve poter contare su un rinnovato entusiasmo dei cittadini per mantenere la pace tra i paesi membri impegnandosi a contribuire a ottenerla anche nel resto del mondo come stabilisce l'articolo 3 del Trattato dell'Unione Europea (Trattato di Lisbona).
Grande rilevanza strategica assume la decisione di affidare alla politica di bilancio della UE la promozione di un debito comune europeo (eurobond) allo scopo di  alimentare un apposito fondo  (come il Recovery Plan dopo la pandemia) di almeno 500 miliardi di euro (secondo Mario Draghi) per finanziare, anche attraverso la mobilitazione del risparmio privato, un massiccio volume  di investimenti al fine di colmare il divario di competitività del vecchio continente  con il resto del mondo avanzato. Investimenti utili allo sviluppo economico e sociale dei Paesi Membri e in grado di arginare i nazionalismi/sovranismi accresciuti dal mancato controllo pubblico del processo di globalizzazione dei mercati, trainato dalle società multinazionali, che ha moltiplicato le diseguaglianze di ricchezza e di reddito.
Merita infine ricordare che anche un gruppo di impegnati vescovi francesi in un recente documento confidano che si possa trovare un nuovo entusiasmo per l'Europa e per i suoi valori fondanti che vedono al primo posto la ricerca della pace e della fratellanza tra i popoli e le persone.
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La ripartizione settoriale delle risorse disponibili nel bilancio di lungo periodo della UE

  • mercato unico, innovazione e agenda digitale: 151,3 miliardi 
  • coesione, resilienza e valori: 429,4 miliardi 
  • risorse naturali e ambiente: 401 miliardi 
  • migrazione e gestione delle frontiere: 26,2 miliardi di EUR
  • sicurezza e difesa: 14,9 miliardi di EUR
  • vicinato e resto del mondo: 110,6 miliardi 
  • pubblica amministrazione europea: 82,5 miliardi

Il bilancio a lungo termine dell’UE comprende aiuti a milioni di studenti, migliaia di ricercatori, città, imprese, regioni e ONG. Contribuisce alla produzione di alimenti più sani e sicuri; strade, ferrovie e aeroporti nuovi e migliori.
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Sabina De InnocentiisLaboratorio per ragazzi sulla Biodiversità e protezione delle specie a rischio estinzione, da proporre alle varie parrocchie in periodo carnevalizio di Sabina De Innocentiis

Sintesi: presentazione di alcune specie protette e a rischio estinzione e realizzazione di maschere di carnevale in materiale riciclato e/o sostenibile, per potersene travestire a carnevale

Obiettivi:

  • Capire cosa si intende per rischio di estinzione e i diversi livelli di protezione
  • Conoscere specie un po' diverse dalle solite, che vivono nei nostri mari, seppure ora rare
  • Imparare quali rischi corrono, quali divieti le riguardano e come proteggerle anche coi nostri comportamenti
  • Immedesimarsi e creare un legame emotivo con l’ambiente marino, spesso percepito come meno familiare di quello terrestre
  • Superare una visione antropocentrica e stereotipata della natura
  • Educare al rispetto dell’ambiente e delle normative ambientali
  • Utilizzare creativamente materiale riciclato e/o sostenibile
  • Portare al di fuori le conoscenze apprese (tramite il mascheramento)
    (Apri il pdf con le immagini e le istruzioni)

Paternò Cadello AdelfoUn'interessante e attuale riflessione dell'Ing. Adelfo Paternò Castello.
La scuola, da sempre, è il luogo dove si entra bambini e si esce adulti. La loro formazione riguarda essenzialmente lo sviluppo dell’intelligenza per mettere la persona in grado di affrontare il mondo, di vivere la società, di diventare importante per qualcuno. Tutti abbiamo in mente due modelli di formazione ben precisi. Uno è la paideia greca, con un saggio che siede in circolo con i discenti dialogando e facendo crescere in ciascuno il senso critico, il rigore dell’analisi, la profondità della sintesi, l’eloquio disinvolto. E l’altro modello è il “Mister Chips” del romanzo di inizio ‘900. Il docente-padre, attento alla formazione dell’anima, comprensivo e rigoroso, capace di diventare un riferimento affettivo oltre che culturale. Ed è per questo che le disposizioni europee degli ultimi venti anni, che si rifanno a richieste della lobby degli industriali, appaiono per lo meno preoccupanti.

Papa e ZuppiPubblichiamo l’omelia che il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha pronunciato giovedì 25 maggio in occasione della Santa Messa concelebrata nella Basilica di San Pietro. 

Questa celebrazione che ci vede riuniti intorno a Pietro, accolti e sostenuti dalla presenza di colui che presiede nella comunione la nostra comunione, ci aiuta a contemplare cos’è la Chiesa, ci offre un’icona della sua realtà umana e spirituale, che non è mai idealizzata o virtuale. Veniamo tutti dalle nostre tante Emmaus e portiamo con noi la tristezza di quei tanti pellegrini con il cuore gonfio di disillusione, ferito, aggressivo e amaro perché le speranze erano finite. Tra questi, il cui volto e vicenda portiamo nel cuore, ricordo l’angoscia che grava nell’anima del popolo Ucraino che anela alla pace e quanti piangono qualcuno che non è tornato più, inghiottito dalla macchina di morte fratricida che è la guerra. Il Signore continua a farsi pellegrino (lui sì e noi no?), non si stanca di cercarci e ci spinge a metterci per strada per incontrare tanti, per liberare da un destino senza comunità, per scaldare cuori spenti e farli ardere di amore e di speranza. Il Signore non smette di donarci il suo Spirito perché la vita non si chiuda negli orizzonti mediocri di Emmaus, magari a discutere tutti i giorni del passato ma senza futuro, fuori dalla storia. Essere qui, al termine di quasi due anni di Cammino sinodale, è una grande emozione che ci sintonizza di nuovo con i fratelli e le sorelle e con questa nostra Madre Chiesa che tutti ci accoglie e continua a generarci a figli. Come i due di Emmaus anche noi troviamo Pietro che conferma la nostra fede. Con lui troviamo un popolo grande, che accoglie tutte le etnie perché popolo santo di Dio. Un popolo ma sempre una famiglia che ci chiede di vivere con lo stile e i sentimenti della famiglia, non da funzionari anonimi, anche zelanti ma con il cuore e gli affetti da un’altra parte o che si coinvolgono solo a quello che interessa il proprio protagonismo o ruolo. La nostra è la casa di un Padre che ricorda sempre che tutto quello che è suo è nostro, e anche viceversa, che tutto ciò che abbiamo diventa davvero nostro proprio perché insieme. Solo un cuore largo e cattolico ci libera da misure avare e paurose e ci aiuta a scoprire e riscoprire il mondo, tutto, senza confini. Il mondo inizia sempre da ogni persona, da un incontro, scoprendola nella sua grandezza e unicità, amandola perché non è un’isola e non lo sia. Quanto c’è bisogno di amore gratuito, vero e non virtuale, legame umano e affettivo! È il legame che ci ha unito e ci unisce ai “tutti” per i quali Gesù spezza il suo pane. Qui, oggi, frutto e fonte di tanto concreto amore, lo contempliamo in pienezza, ma avviene ordinariamente, molto più di quello che pensiamo, nel nostro camminare insieme, cioè nella sinodalità.

Donghi3L’argomento è stimolante, ma nello stesso tempo drammatico. Per affrontare questo tema mi è stato d’aiuto la Teologia Fondamentale per rileggere la grandezza della proposta cristiana partendo dalla situazione di oggi. Gli orizzonti della sociologia sono molto impressionanti con un interrogativo sul quale dovremmo riflettere ed è questo: nel 2050 l’Europa crederà ancora? A livello sociologico i numeri sono in decrescita galoppante. Noi italiani lo avvertiamo meno, ma al Nord Europa la realtà è molto drammatica: non per niente si parla di possibile scisma tedesco.

La domanda che nasce è questa: oggi è possibile credere? La cultura di oggi riesce a credere? Soprattutto davanti a due fenomeni che impressionano gli studiosi:

  • la transumanizzazione
  • l’ecologismo

le due dinamiche presenti nella cultura di oggi.

  • la transumanizzazione è la cultura robotica. Quindi nasce il grosso interrogativo: domani sarà l’uomo o la tecnologia a condurre la storia? Il discorso da un punto di vista antropologico è molto forte, anche perché la grossa sfida alla Chiesa di oggi è la risposta all’interrogativo: chi è l’uomo? Interrogativo apparso all’inizio del Concilio Vaticano II: il suo grande leader è stato Papa Paolo VI che ha messo in luce in “Gaudium et Spes” il rapporto tra Chiesa e secolarizzazione e che ha avuto riflessi sull’inizio del papato di Giovanni Paolo II ( Redemptor Hominis) con una affermazione che nasceva dalla sua formazione fenomenologica “ l’uomo mentre conquistava il mondo perdeva la sua anima”. Affermazione molto forte che percepiamo essere in atto nella realtà di oggi. Altro documento che io cito è la lettera apostolica di papa Benedetto XVI “La porta della fede” dove al n.2 si dice : il cristiano è chiamato a vivere l’amicizia con Dio”, ritrovando la presenza del Risorto e non credendo nel sociologismo, che diventa dinamica fondamentalmente atea. Questo è il dramma antropologico emerso negli anni conciliari e sviluppatosi negli anni post-conciliari, che di fatto è stato un po’ dimenticato. Oggi i sociologi fanno questa valutazione: davanti alla crisi della fede si organizzano riunioni, riti e non si va a scandagliare la profondità dell’uomo, quindi la prima difficoltà è il transumanesimo, che fa entrare in una esperienza dove l’uomo viene rovinato. Se guardiamo attentamente nasce sempre la domanda: chi è l’uomo? Domanda che dobbiamo fondamentalmente porci e che gli esegeti hanno meditato quando dovevano tradurre il versetto 14 del prologo del vangelo di Giovanni “il Verbo si è fatto carne”, infatti avevano tentato di tradurlo “il Verbo si è fatto uomo, ma la parola uomo è un concetto, mentre la carne è la concretezza della vita. Quindi la grande sfida è l’uomo, tanto è vero che è nato quel principio del next age dove l’uomo si costruisce la sua religione, non più come elemento trascendente, ma dove l’uomo elabora suoi criteri per un suo “divino”. E’ un fenomeno interessantissimo, seppure in una dinamica negativa per certi versi, dove l’uomo senza il riflesso di Dio non riesce a vivere: è quello che chiamiamo la fede elementare.
  • Il secondo problema è l’ecologismo. Quanti pensano l’ecologia secondo il documento di Papa Francesco “Laudato sii”? Il discorso ecologico è di fatto canalizzato in chiave economica. Il fascino della bellezza del creato, come l’orizzonte dell’infinito di Dio non ci sono. In presenza di questi problemi come possiamo ritrovare l’uomo? Ci sono due passaggi da evidenziare:
  • L’uomo gode di una fede elementare
  • L’uomo non vive senza fidarsi di qualcosa, di qualcuno                                                                                                                                                      

Ritorna in mente il testo della genesi della creazione dell’uomo interessantissimo ed estremamente moderno: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” in questo c’è la risposta alla domanda, chi è l’uomo? Qui troviamo tutta la caratteristica dell’uomo, che Hàskhell nel suo libro introduce con il salmo 8: “ Signore nostro Dio quanto è grande il tuo nome su tutta la terra”. Quindi l’uomo è una creatura che ha una fede elementare, dove elementare è da intendere in modo positivo, perché è il fidarsi. Ecco perché l’uomo di oggi ha paura di credere e questo fenomeno è nato negli anni 2010-2015 quando ci si poneva la domanda cosa vuol dire credere? L’uomo ha difficoltà a cogliere la sua vita nell’infinito. Quindi il problema del credere è un problema all’interno dell’antropologia culturale, perché l’uomo in tutte le culture vive con l’infinito. Nelle religioni orientali, al di là della loro prassi antropocentrica, nel profondo dei loro miti c’è il senso dell’infinito, del trascendente, perché l’uomo in quanto tale vive di trascendenza, ora la civiltà dei consumi ha fatto perdere all’uomo la gioia di volgere lo sguardo verso l’alto, ha perso il senso del divino. Allora sono 3 i peccati (peccato inteso in senso etimologico, cioè in termini esistenziali e non in termini morali) che impediscono di entrare in una esperienza di fede:

1) l’assenza della trascendenza

2) la mancanza del senso di salvezza

3) la perdita del senso della universalità

Tre elementi che mettono in crisi l’uomo e a cui oggi non si pensa:

  • l’assenza di trascendenza: l’uomo per natura sua è trascendente nel senso dell’infinito. Interessante è lo studio delle religioni, dove un aspetto che oggi viene rimarcato è entrare nell’anima vera della religione, che non è un rito, ma, attraverso il rito, è cogliere l’infinito. Interessante è l’affermazione del maestro Muti che nel suo libro, dove descrive la sua storia musicale, dice che le note unite insieme aprono sull’infinito: è la bellezza della musicalità. L’uomo è bellezza, oggi contrariamente alle culture passate, si punta tanto sulla bellezza. Nel passato con i filosofi trascendentali l’esistenza era sì legata alla verità, all’unità, alla bontà, alla bellezza, ma anche solo 60 anni fa, non si studiava mai il rapporto tra l’uomo e la bellezza, perché la bellezza era fonte di passionalità.

C’è voluto la mente del gesuita Von Balthasar dove alla domanda se qualcuno si dannerà, la risposta che dà è che l’amore di Dio per l’uomo è così grande! Dio non inventerà qualche cosa per salvare l’uomo? Quindi l’uomo di oggi è carente di trascendenza, ecco perché viene riscoperta la bellezza. Importante è cogliere la bellezza anche nell’architettura religiosa, le chiese sono autentici percorsi che fanno entrare nel mistero. In particolare le chiese di rito bizantine sono una pedagogia luminosa del dono della salvezza, ci si perde nella bellezza dei colori e dell’infinito. Una delle linee che la Chiesa deve ritrovare è dunque il concetto di bellezza, non avete mai pensato perché Dio ha dato all’uomo il gusto del bello, della musica, della sensorialità? Dio ne ha impregnato l’uomo, è la bellezza della sua creaturalità. Dovendo definire chi fosse l’uomo, un mio collega diede questa definizione: l’uomo è un Dio creato, quindi “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” , non significa l’immagine come una fotografia rispetto a un quadro, ma è un infinito che diventa colore, che diventa musica, che diventa pittura, che diventa architettura: è l’artisticità della storia, ecco il senso della trascendenza. Ritengo che l’affermazione di Card. Martini “la bellezza salverà il mondo” è estremamente vera, perché attraverso la bellezza, quella autentica, si coglie la grandezza dell’uomo. E’ interessante soffermarci su Dio che dopo aver creato il maschio vide che non era bello come voleva e allora creò il sacramento della Sua bellezza che è la donna. La donna è dunque la bellezza di Dio regalata all’uomo. Nel matrimonio bizantino quando il celebrante prende per mano i due sposi e fa tre giri intorno all’altare, ritraduce un linguaggio antichissimo di Dio che conduce l’uomo e la donna nella stanza nuziale, e Dio come nella Genesi regala la donna all’uomo, perché ne comprenda la bellezza. Da studi effettuati si scopre come nell’antichità la donna fosse più importante dell’uomo, perché era la fonte della vita, mentre l’uomo ha prevalso quando si è avvertito il problema del mantenimento: la produzione ha ucciso la bellezza. L’uomo invece è bellezza attraverso la femminilità. Dio creò l’uomo con il Suo Spirito= Ruah parola femminile in aramaico, ecco perché Papa Giovanni Paolo I disse che Dio è maschio e femmina, perché la creatività è femminile, ecco perché la donna è generalmente più intelligente dell’uomo avendo la profondità del senso della vita.

  • Mancanza del senso della salvezza: è la seconda difficoltà dell’uomo di oggi. E’ una crisi in atto dal momento in cui le scienze umane hanno prevalso: chi ha problemi esistenziali va dallo psicologo, che è visto come soluzione dei problemi. Ora la salvezza è un fatto interiore basta studiare la sapienza dei miti antichi dove c’è Dio e l’uomo: il peccato originale è un racconto letterario per dirci come c’è all’interno dell’uomo il senso di una rottura. E’ interessante il perché Adamo non si è ribellato a Eva, ma ha obbedito subito: per quella bellezza che ha in sé la donna. Ora la salvezza noi spesso la rileggiamo in modo negativo perché legata al peccato, ma la salvezza è la ricostruzione dell’identità dell’uomo, non una condanna. Allora come ci si salva con la terapia psicanalitica o con quella teologale? La visione psicanalitica si fonda sulle forze dell’uomo: lei può farcela! La bellezza della terapia teologale è la creatività di Dio, che opera nel cuore dell’uomo e gli dice: entra in qualcosa di più grande. Ecco perché l’uomo si inventa la sua religione, perché il senso della salvezza viene da qualcosa al di là di noi.
  • Il senso dell’universalità: è la bellezza che noi siamo chiamati a riscoprire. Le religioni catturano le persone; il cristianesimo è una avventura sull’infinito, in certo qual modo la bellezza della vita dell’uomo religioso è aprirsi al mondo intero. Un esempio semplice: quanti andando all’Eucarestia sentono di abbracciare il mondo intero? Sì lì è presente il mondo intero in un rapporto di universalità, che fa parte dell’evento cristiano. Altro esempio: quando una persona muore è da sola o in comunione con tanta gente? Quella persona in quanto immagine e somiglianza con Dio in quel morire è in comunione con il mondo intero, in questa visione di universalità. Ora per parlare di fede cristiana si devono ritrovare questi tre criteri che così si possono riassumere:

      a) il senso della trascendenza: ricerca della bellezza

b) il criterio della salvezza: ricostruzione dell’uomo in senso positivo, tanto è vero che oggi si fa la scelta, che il passato non ha fatto, di ritenere che il Verbo si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato, perché la bellezza della Incarnazione è la costruzione piena della creatura umana.

     c) senso della universalità

Per portare con noi speranza e non solo interrogativi, alla luce degli scritti di Panikkar scrittore indiano di cultura indù, offro tre passaggi interessanti: il superamento del cristianesimo, il superamento della cristianità per accogliere la cristiania. Triplice passaggio dove il cristianesimo è una cultura, la cristianità è una struttura esistenziale, la cristiania è una fecondità spirituale. Cristiania è un termine che nasce da una lettura induista, ma oggi siamo ormai abituati ad una cultura cosmica e significa vita spirituale. Il dramma della chiesa davanti ai problemi della fede è portata a aumentare i riti, ad aumentare l’organizzazione, dimenticando di ritrovare la vita spirituale perché l’uomo racchiude in sé l’uomo interiore. Studi contemporanei sul rapporto tra il cristianesimo e la secolarizzazione evidenziano

       1) l’uomo è autentico quando è uomo interiore, è uomo spirituale, che non è spiritualismo o forme intimistiche che portano a staccarsi dalla storia, ma significa vivere una profonda vita interiore

      2) la sfida di oggi è entrare nella profondità dell’uomo

       3) è entrare nella profondità di Gesù e fare una meravigliosa sintesi con l’uomo

1)l’uomo è respiro=RUAH, vita interiore.                                                                                                                                       

2): cos’è la Rivelazione. Gesù non è venuto a darci delle verità, che sono fatti culturali, ma ad essere Verità, cioè uomo relazionale. L’esperienza di fede è una relazione, interessante quel “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”: l’uomo è la relazione divina, che determina la bellezza dell’uomo. A questo punto è bene chiederci perché Gesù ha lasciato come unico testamento un banchetto? Nella grande intuizione Giovannea e anche di Luca la risposta è perché il banchetto è relazione. La bellezza della rivelazione è un rapporto, essere insieme.

Di fronte alla domanda in che rapporto sta la cultura di oggi e la fede (problematiche che sono alla base del Sinodo in atto), posso dire che la bellezza del rapporto tra fede e cultura di oggi è che l’uomo esca dalla sua solitudine ed entri in rapporto con l’uomo per ritrovare la bellezza del noi. Questa è la grandezza della rivelazione. Quando si dice che l’eucarestia fa Chiesa, non è il rito eucaristico che fa la Chiesa, ma il mistero eucaristico che genera la comunità cristiana; non è andare a messa, ma andare a cantare una comunione attraverso il rito e gustare l’infinito.

3)Il primato del vissuto: la vita. Studiando il grande teologo ortodosso Zizioulas, arcivescovo emerito di Pergamo, in un suo libro egli ha raccolto tutti i suoi interventi in campo ecumenico, ho condiviso che l’ecumenismo si fa ritrovando la Vita Trinitaria, che è il primato del vissuto. Infatti la bellezza della liturgia ortodossa non ha dato alla luce grandi teologi, ma grandi mistici e grandi uomini spirituali.

Alla domanda: il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora fede sulla terra? Troverà la fede o tanti riti? Troverà la fede o tanta organizzazione? Troverà la fede o tanti piani pastorali? Sono tutti interrogativi che devono farci comprendere che l’avventura della fede è importante per l’uomo. Quindi dobbiamo ringraziare l’intuizione degli anni 60, fatta propria da Paolo VI, di ritrovare nell’uomo la prima Rivelazione di Dio, per poi dare all’uomo la Rivelazione che Dio è una persona: il Verbo fatto carne. Prova del nove di tutto questo: quando usciamo da messa diciamo sono andato a messa o diciamo ho contemplato il volto del Risorto? E’ una grande sfida!! Occorre partire da Gesù, sapendo che Gesù non lo conosceremo mai, perché solo per fede possiamo cogliere il passaggio dalla Sua Umanità alla Sua Divinità.

D’altra parte il cammino di Rinascita è leggere nella fede con la Parola la storia di oggi, quindi il discorso di Rinascita è una scuola quotidiana di fede, ecco perché c’è il discorso biblico ed i piani di lavoro.

 

Zuppi Roma3Onorevole Ministro Anna Maria Bernini,

Magnifico Rettore Prof. Massimiliano Fiorucci,
illustri docenti e rappresentanti del personale universitario, care studentesse e cari studenti, signore e signori,
sono onorato e lieto di prendere la parola in questa Università degli Studi di Roma Tre, una università dinamica sul piano scientifico, inserita in una grande città-capitale europea, che contribuisce in maniera rilevante alla riqualificazione del quadrante Centro-Sud della città. Sebbene bolognese di adozione, sono romano di origine e ho visto con partecipazione lo sviluppo impressionante di Roma Tre negli ultimi trenta anni, anniversario che state celebrando.
Dovrei parlare di pace e diritti come questione educativa. Potrei invertire i termini perché ogni questione educativa deve condurre alla pace e ai diritti, alla costruzione di una società pacifica e alle giuste tutele collettive e individuali. Per realizzare la pace c’è bisogno di formare e diffondere una cultura di pace, una “mentalità di pace”, come la definiva Maria Montessori nel suo libro Educazione e pace, che raccoglie i testi di una serie di conferenze che la grande pedagogista tenne in Europa e nel mondo negli anni Trenta, in un periodo che portava le ferite della guerra e diventava terreno di coltura di altra violenza, caratterizzato dalla dittatura del fascismo. Disse a Bruxelles nel 1936 al Congresso europeo per la pace: “La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo, e due sono i mezzi che conducono a questa unione pacificatrice: uno è lo sforzo immediato di risolvere senza violenza i conflitti, vale a dire di eludere le guerre; l’altro è lo sforzo prolungato di costruire stabilmente la pace tra gli uomini. Ora evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione”. E questo è l’investimento necessario per una pace preventiva, individuale e collettiva.

La centralità dell’impegno educativo indispensabile a questo sogno e dovere collettivo è stata affermata nel preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, il 10 dicembre 1948. Lì è indicato il compito dell’educazione ai diritti umani come passaggio decisivo per la promozione dei diritti umani, il loro riconoscimento e rispetto, “fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”, come recita la Dichiarazione.
Ho capito la sfida dell’educazione alla pace e ai diritti nella mia attività per la risoluzione di conflitti in Africa. Per raggiungere la pace occorre far evolvere le parti in lotta, uscendo progressivamente da una mentalità militare per abbracciare una mentalità politica, con un linguaggio proprio, credibile, convincente. Occorre accompagnare la trasformazione della visione dell’altro, da nemico ad avversario con cui discutere e anche contrapporsi, imparando a conviverci, ad ammetterne l’esistenza, fino a costruire una convivenza civile costruita per far convivere le differenze, non per annullarle. Questo lavoro per così dire pedagogico è stato per me una sfida che mi sono trovato a vivere sia in Mozambico che in Burundi, 16 anni di guerra civile e un milione di vittime nel primo paese e un genocidio nel secondo, anche se più piccolo: e in quest’ultimo Paese ho potuto fare questo lavoro di educazione e costruzione della pace al fianco di quel grande uomo di pace che l’aveva vista e coltivata nell’inferno del carcere che è stato Nelson Mandela.
La guerra si nutre di pregiudizi, di ignoranza, di semplificazione, è prodotta e produce una monocultura, radicata in una scia senza fine di dolori e di torti subiti, da tutti. Si tratta sempre di liberare coscienze imprigionate dai torti subiti e dalle ragioni di questi, dal rancore e dall’odio, incapaci di immaginare e fare pace, convinte dell’impossibilità del dialogo e del negoziato. Questo allora portava a credere che la vittoria militare fosse l’unica unica via d’uscita. È quello che accade anche oggi e sempre, con ogni guerra, anche oggi in Ucraina, in Yemen, in Sud Sudan e ovunque. Serviva passare dal linguaggio della violenza, della propaganda, della criminalizzazione, della giustizia di parte, della deformazione dell’altro, al linguaggio del dialogo, della politica. Perché in sostanza l’alternativa alla guerra è la politica, non la soppressione dei contrasti schiacciando l’altro. È la loro composizione attraverso il dialogo. Non c’è pace senza politica. Solo la politica crea un quadro comune, allontana ciò che divide e trova ciò che unisce, rende più umani. E la politica sa e può usare la diplomazia e anche i tanti modi per preparare il terreno, creare l’ambiente favorevole, maturare le convergenze che permettono la pace.
Per questo mi ha colpito con preoccupazione come al Parlamento Europeo una Risoluzione che sollecitava l’apertura di un negoziato sia stata rigettata da 470 voti su 630. Mi è sembrato come un segnale della rinuncia della politica e la negazione di una pace che non sia solo la vittoria di una parte. Attenzione, dire questo non significa ovviamente misconoscere il diritto, omologare le responsabilità, negarle. Affatto. Sono due piani diversi e il dialogo richiede sempre la giustizia e la chiarezza perché funzioni, perché raggiunga il risultato. Ma, appunto, anche la giustizia richiede il dialogo. Questo è il tempo in cui un premier europeo, nella luterana Danimarca, intende abolire il plurisecolare “Grande giorno della preghiera” – che esiste dal 1686 – per potere incrementare il budget per gli armamenti con un giorno di lavoro in più.
Non è questa l’Europa, l’Europa che nel 2012 ha vinto il premio Nobel per la Pace per il suo “never again”, cioè il proposito di mai più fare ricorso all’opzione militare dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale. Per questo dalle università, dagli studi può e deve nascere una nuova immaginazione e antropologia di pace.
Non c’è guerra, alla fine dei conti, che non finisca perché prevalgono le parole, si avvia un negoziato magari mentre le armi non smettono, e, alla fine, le parole che contengono anche le ragioni dell’altro, grandi o piccolissime che siano, e magari sotto un grande peso di torti perpetrati. Le parole esprimono sempre una cultura, e questa è una responsabilità in più per chi insegna, per chi studia, per chi ricerca, per una università come questa. Soprattutto oggi che la questione della pace si pone in termini più allarmanti e con conseguenze globali, fino al rischio, mai così vicino dalla crisi di Cuba di 60 anni fa, di un Armageddon nucleare, possibile frutto degli automatismi delle reazioni incrociate, mai interrotta da parole diverse.
La cultura della pace rispetto alla cultura della guerra appare come una scoperta recente, anche se è un bisogno antico quanto l’uomo. La guerra infatti sembra connaturata alla storia umana anche quando la si vuole sfuggire. “La guerra è guerra e chi non scappa lo sotterra” dicevano i fanti italiani nella prima guerra mondiale: ma obbedivano lo stesso fino al sangue. Nella prima metà del Novecento – e dopo molti secoli di guerre infinite – noi europei abbiamo intrattenuto una smisurata inclinazione alla guerra.
Solo nel 1945, dopo tanti lutti e rovine, si è fatta strada una cultura della pace come cultura di massa e non più di singole personalità intellettuali. Il rifiuto della guerra è diventato, per alcuni decenni, quasi istintivo e generale. È diventata possibile la casa comune europea come una costruzione nonviolenta, fondata sul valore della pace. Per Adenauer, De Gasperi, Schumann, Monnet, Spaak, Spinelli, l’integrazione europea e la cessione almeno parziale di sovranità erano una reazione all’orrore e alla forza devastatrice di due guerre mondiali che l’Europa stessa aveva originato, avvenute sulle stesse terre della Guerra dei Trent’Anni, della Guerra dei Cent’Anni, di quelle napoleoniche e di quella franco-tedesca.
Occorreva superare una storia infinita di torti e ragioni, e sciogliere una memoria non storica ma patologica. L’unità europea doveva servire a superare i nazionalismi e i totalitarismi che avevano distrutto il continente.
Occorreva voltare pagina radicalmente, facendola finita con il primato dell’una o l’altra nazione. Occorreva riscattarsi dal passato, anche dimenticando. Un grande intellettuale come Lucien Febvre, fondatore delle Annales, sapeva che la storia, senza essere amnesia, può essere amnistia. Scriveva nel 1949, a rovine europee ancora ovunque: “Per vivere occorre dimenticare”. “È una necessità per i gruppi e le società che vogliono vivere”. E aggiungeva che “la storia è un mezzo per organizzare il passato e per impedirgli di pesare eccessivamente sulle spalle degli uomini”.
Dopo il 1945, si rifiutava una storia irrazionale, di miti della nazione, della razza, di terra e sangue, di fatali destini, di popoli predestinati. Si superava quello che Mircea Eliade ha definito “il terrore della storia”, quel sentimento di sventura possibile ogni momento, di invasione improvvisa, di apocalisse in agguato. La storia non doveva più essere circolare, imprevedibile, ma lineare, governabile. Non valevano più le parole di Nietzsche secondo cui “la storia è un incubo dal quale vorremmo risvegliarci”, quell’incubo in cui la guerra rappresentava l’irrazionale e l’ingovernabile della storia. Il suo contrario veniva riconosciuto nel dialogo, nel negoziato, nella politica, nel diritto.
Nell’Italia sconfitta, che aveva pagato a caro prezzo il militarismo nazionalista, il rifiuto della guerra è stato particolarmente vivo. Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo della Costituzione italiana, spiegava nel dicembre 1947 la definitiva formulazione del suo undicesimo articolo, quello che esprime a chiare lettere il “ripudio” – una parola forte, pro-attiva, della guerra: “Ecco il sentimento che ci ha animati- scriveva.  Si tratta[va] anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione ha ritenuto che, mentre ‘rinunzia’ presuppone, in certo modo, la rinunzia a un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola ‘ripudia’ ha un accento energico e implica così la condanna come la rinuncia alla guerra”.
Uno degli estensori di questo articolo, legato a Bologna, Giuseppe Dossetti disse: “Di fronte alla pace non possiamo essere indifferenti o neutrali”. Non neutrali, ma schierati per la pace! Abbiamo bisogno di profeti e di politici di pace, capaci di tradurre l’aspirazione in architettura e prassi di pace. È una sfida attuale: affermare e praticare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune. In simili discorsi si formava la coscienza democratica italiana. Guai quando questi diventano solo enunciazioni vuote, traditi, da chi dovrebbe difenderli sempre e per tutti perché li piega all’interesse contingente o li sospende quando impediscono scelte e decisioni che li contraddicono. La guerra veniva compresa come un male in sé stesso. Un male per i vinti ma anche per i vincitori. Nessuno vince con la guerra. Come scriveva don Primo Mazzolari all’indomani della guerra: “Non sono mai stati bene né i vinti né vincitori; anzi qualche volta sono stati più male i vincitori dei vinti, perché avevano anche da smaltire questa tremenda illusione: che la vittoria potesse dare il benessere. Non si costruisce il benessere sui morti, non si costruisce l’avvenire di qualsiasi popolo sull’odio ai fratelli”. Il sogno di don Sturzo e di Primo Mazzolari è stato quello di abolire la guerra, non come un auspicio di anime belle, ma come una necessità storica e un grande esperto di guerra come il generale e presidente americano Eisenhower metteva in guardia, al termine del suo mandato, dallo strapotere dei grandi gruppi produttori di armi come un rischio mortale per la democrazia. Ma, dicevo, questa nuova cultura della pace poggiava su una cultura della convivenza molto antica. Quell’oblio del male di cui parlava Febvre era già stato meditato nel mondo classico.
Oggi il ripudio della guerra e della violenza, e l’esercizio di una cultura della pace, sembrano essersi sbiaditi, come il ricordo tragico della Seconda guerra mondiale e della Shoah che ne rappresenta la massima ignominia e crudeltà. Non a caso, perché è durante le guerre che avvengono le peggiori nefandezze. Come il Metz Yeghern armeno, avvenuto in un contesto bellico senza testimoni e osservatori esterni. L’Unione Sovietica ha avuto la metà di tutte le vittime della seconda guerra mondiale, 27 milioni su 50 (gli inglesi morti furono circa 400.000, gli statunitensi circa 300.000). Quanto dolore! In Est Europa, dove non c’è stato nessun Adenauer, o De Gasperi, o Schumann a sostenere politicamente una cultura della pace, lutti e rovine della seconda guerra mondiale non hanno rimosso l’abitudine alla violenza, alle armi, allo scontro bellico. Svetlana Aleksiević, premio Nobel per la letteratura nel 2015 ha scritto: “Io sono vissuta in un paese, dove sin da bambini ci hanno insegnato la morte. Ci hanno insegnato ad amare le persone con le armi (…) A casa, per strada. Per questo da noi la vita umana vale così poco. Tutto è come in guerra”. In questo clima anche la Shoah è stata sostanzialmente accantonata nella ricostruzione storica della cosiddetta Grande guerra patriottica, e i 30 mila ebrei di Kiev sterminati, le vittime di Babij Jar, in questa militarizzazione delle coscienze, non hanno meritato un ricordo perché non erano vittime che avevano combattuto e opposto resistenza.
L’università può fare molto per ripristinare una cultura della pace. È un antidoto alla cultura dei muri e della demonizzazione dell’altro, quello che accade nelle guerre, nella risorgenza del potere divisivo delle frontiere. Non è un caso che nella piana di Ninive la prima cosa che Daesh, l’ISIS, ha buttato giù, con alcune chiese, sono state le scuole e che quando le suore sono tornate le scuole, aperte a tutti, per i cristiani, gli yazidi, i musulmani, e le scuole sono state il primo pezzo della ricostruzione.  Sono molti a sostenere che l’ebraismo è sopravvissuto ai pogrom nell’Europa orientale e centrale grazie allo studio. Lo studio apre all’alterità. Un dogmatico capace di conversione come San Paolo, che rappresenta una parte delle radici di questa città di Roma, scriveva di sé: “pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei”. Non è la chiave del proselitismo, ma della simpatia per l’altro. È la chiave della capacità di inculturarmi e immedesimarmi nell’altro. È un paradigma importante per ogni scuola e università, la capacità di includere mentre educhiamo. C’è qui anche il segreto delle antiche universitas, come in quella ricerca comune della stagione che a cavallo del Primo Millennio vedeva Baghdad come grande centro di vita intellettuale per le scienze e il pensiero, quando i fedeli di ogni religione, diremmo oggi di ogni cultura, cercavano insieme la verità, contaminandosi.
E non c’è studio senza amore, perché, come diceva papa Giovanni Paolo II, un santo che ha attraversato il millennio, le guerre, il totalitarismo e amava l’università: “Se il cuore è aperto, la mente capisce”. Una cultura senza cuore finisce per essere una cultura che non serve agli uomini e alle donne anche quando contiene più modernità e innovazione, perché non aiuta a ricucire il bisogno fondamentale di ritrovare la bellezza del vivere insieme, di ricostruire un noi in società frammentate, non guarisce dalla paura dell’altro, non offre ragioni per costruire nuove forme di vivere “la convivialità delle differenze” – come diceva don Tonino Bello, e per aiutare noi stessi e il mondo a pensarci e a essere senza muri, che sono il primo dogmatismo, quello che impedisce di vedere la verità più semplice: che tu hai una faccia simile alla mia, anche quando è diversa, che l’altro è mio fratello e mia sorella, che siamo tutti parte dell’unica famiglia umana. Se una università non aiuta a scoprire e a costruire le basi di tutto questo fallisce il suo obiettivo.
Abbiamo bisogno di cultura e di ricerca. E che siano meno precarie! Ma anche dobbiamo riorientare la ricerca al bene comune, affrancandola dall’ubris che la rovina perché riempie di un senso di onnipotenza che finisce sempre per ritorcersi contro le persone e l’umanità. Una ricerca svincolata dall’etica del bene comune può inghiottire l’umanità e finisce per essere funzionale al mercato. Universitas è termine che allude al tutto dell’universale ma anche al particolare del mettersi insieme in una comunità. Per questo l’università propone una scienza storica condivisa, non divisiva, non della propria fazione. È universitas quando propone il dialogo, sia delle scienze sia della vita. Perché propone un’antropologia del pensarsi per l’altro, della crescita, della piena realizzazione di sé che è il contrario del nichilismo. E il rispetto delle diversità intese come ricchezza. Nasce da qui quello che è un vero diritto, lo ius pacis, che è anche un dovere, da invocare e per cui lavorare: il diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza. Artigiani di pace tutti e architetti di pace alcuni. Ma se ci sono tanti artigiani di pace – e dobbiamo esserlo tutti – da questi verranno anche architetti e quanti sapranno trovare ordinamenti indispensabile a trovare e mantenere la pace. Altrimenti difficilmente si impedisce alle persuasive “ragioni “della guerra di armare i cuori e le mani. Molti sono convinti della ineluttabilità della guerra, che accompagnerà sempre il mondo, come fosse un destino scritto nella stessa natura della persona e una storia che non può cambiare. Perché dovrebbe essere un destino risolvere le controversie con le armi? Si è sempre fatto così? Restiamo gli stessi? Se c’è un progresso su tutto, tanto che abbiamo realtà impensabili solo pochi anni or sono, possibile che non ci sia un progresso che permetta di dotarsi di organizzazioni internazionali capaci di evitare che le controversie diventino guerre? Themis, la giustizia universale, aveva tre figlie: Irene, la Pace, Eunomia, la legalità e il buon governo e Dike, la giustizia morale, la giustizia del diritto, quella che presiede alle leggi degli uomini. Cercare queste figlie non vuol dire preparare la pace? La pace dipende da me. Don Zeno, profeta di pace e di giustizia nel 1950 disse: “Non potete dire: “Viene la guerra, adesso viene, adesso viene…”. Se fosse un temporale cosa posso farci? Ma la guerra non è un temporale. Chi fa la guerra? Se quelli che la fanno dicessero: “Va’ piano che ne parliamo, prima, finché siamo in tempo. Dovremmo con serenità far conto di essere qui a decidere la pace o la guerra, e ognuno di noi dovrebbe dire: “Sono proprio io che devo decidere”. Tu mangi bene, vicino a te abita una famiglia che non ha da mangiare. Avresti piacere che uno mangiasse in faccia a te e ai tuoi figli, e tu e i tuoi figli essere senza mangiare? Allora chiamali a tavola con te e costruisci la pace”. Etty Hillesum scrisse: “Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile”. Tanti che sono stati artigiani di pace. Ne vorrei ricordare uno, romano, don Roberto Sardelli, che all’acquedotto Felice educava e dava consapevolezza e speranza ai giovani delle baracche, rovesciando l’individualismo in un noi corale coltivato e sorretto dalla scrittura collettiva, lavoro di squadra che dava valore a ciascuno. La scuola offriva ai ragazzi nati senza speranza la possibilità di riflettere e ognuno veniva responsabilizzato perché era possibile dopo potere camminare a testa alta. Artigiano di pace perché difendeva i più deboli rendendoli consapevoli.

Vorrei allora concludere riprendendo alcune piste tracciate da Papa Francesco in visita all’Alma Mater felsinea nel 2017. Un primo diritto cui educare – diceva – è quello alla libertà dalla paura. Nella vita privata, la paura si esprime con la chiusura nella propria bolla esistenziale. Nella vita pubblica, la paura ha un grande ruolo nella ricerca del consenso e non ha sempre bisogno di prove, bastano le narrazioni. Basta pensare al tema dell’immigrazione e dei profughi, a una rappresentazione che introduce dentro invasioni che non ci stanno, a fronte di numeri modestissimi, a confronto con qualunque paese del terzo mondo e molti paesi europei. Mentre sovrabbondano i dati e le ragioni razionali che mostrano come l’immigrazione sia benefica per la nostra civiltà, la nostra economia, la nostra demografia, il nostro welfare. Solo l’accoglienza può farci riaccendere il gusto di concorrere, come dice l’articolo 4 a svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. È curioso: siamo condizionati da troppe paure e alcune evidenze on ci mettono paura che deve diventare scelta, consapevolezza, non dissennatezza o ottimismo pericoloso e ignavo. La conoscenza libera tante paure, come ad esempio quella dell’Islam, nemico per eccellenza, che rispetto a una ventina di anni fa si è attenuata.
Secondo diritto, conseguente al primo, diceva, è il diritto alla speranza in un tempo in cui è forte una predicazione spicciola del disprezzo dell’altro, dell’aggressività facile, delle condanne perentorie. Il diritto alla speranza presuppone una coscienza, una morale, una capacità critica, una fede, tutti elementi così diversi dall’appiattimento sulle cattive notizie, sulle fake news, sul gossip, su populismi irresponsabili. La speranza perché sia vera deve essere coltivata dall’educazione, dalla conoscenza e si deve misurare con le prove della vita. Viene prodotta – sostiene san Paolo nella Lettera ai Romani – dalla pazienza nella tribolazione e, aggiungerei più modestamente, dal senso di responsabilità per la casa comune. “Non è la convinzione che una cosa andrà a finire bene – diceva un grande europeo umanista non violento come Vaclav Havel – ma la certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire”.  La speranza nutre ed è nutrita dalla visione, dal guardar lontano il tempo e non solo lo spazio, affrontando i problemi del presente ma sapendo capire quello che li supera. In un suo intervento sulla violenza, Raymond Aron osservava: “Non vivo senza speranza, vivo nella speranza che l’umanità trionferà non sulla violenza, giacché l’uomo è un essere violento e probabilmente la violenza lo accompagnerà durante tutta la sua avventura, ma penso… a una specie di placamento progressivo delle lotte estreme (…) Un giorno, l’umanità meno divisa dalle ineguaglianze attenuerà le ideologie e le idolatrie…”.
Terzo diritto è quello alla cultura. L’università apre – dicevo – all’universale, a conoscere il mondo intero, a uscire dal provincialismo e dal pettegolezzo etnico, da un locale ridotto a isolamento perché on si apre all’universale. Siamo atterriti dalla guerra in Ucraina i cui lutti, innegabili, sembrano il più grande scandalo del nostro tempo. Ma una cultura universale ricorderà altre tragedie contemporanee, dalle proporzioni ignorate. La crisi del Tigrai, ad esempio, secondo le ultime valutazioni, avrebbe prodotto 600.000 morti la gran parte civili, una strage. Trent’anni di guerra in Congo hanno prodotto tre milioni di morti, fra l’una e l’altra regione investita dalla violenza in questo Stato immenso. Ogni vittima dell’odio altrui merita rispetto, ma le attenzioni che rivolgiamo alle crisi internazionali sono talora più funzionali alle nostre politiche che alle loro oggettive dimensioni. Naturalmente diritto alla cultura significa molto di più. Ma vorrei dire almeno che c’è bisogno di una sapienza, che faccia aspirare a cose alte, che aiuti a tirar fuori il meglio dall’altro e da sé stessi. E, infine, occorre educare al diritto – e al dovere – alla pace.
Il tema dell’educazione alla pace si colloca quindi nel cuore dell’impegno scientifico, culturale e didattico dell’università. Possiamo dire che la pace e i diritti umani siano sempre più la cifra riconosciuta di una cultura e di una educazione che sanno guardare l’humanum e pensare un futuro comune per il mondo e per l’umanità. Edgar Morin nel 1999, nel suo manifesto I sette saperi necessari all’educazione del futuro, richiamava al compito di educare alla comprensione umana, in cui – notava – si ritrova “la missione propriamente spirituale dell’educazione: insegnare la comprensione fra gli umani è la condizione e la garanzia della solidarietà intellettuale e morale dell’umanità”.
Mi sembra una indicazione importante per una riflessione sull’educazione alla pace. Questa infatti deve radicarsi in una cultura dell’alterità, che faccia della comprensione umana dell’altro, dei tanti altri a contatto dei quali, non sempre in modo immediatamente pacifico, le donne e gli uomini del nostro tempo sono costantemente proiettati. Occorre infatti superare, per dirla con le parole di papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, “la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità”.  Per questo ci vuole empatia, ma ci vuole anche cultura, cioè conoscenza dell’altro, ci vuole un recupero della missione nobile e allo stesso tempo vitale che l’educazione svolge nella società dalla scuola all’università. Educare alla pace è quindi aprire le menti e i cuori all’incontro con l’altro, al dialogo, alla relazione che è fatta di comprensione. Morin ne ricavava proprio la necessità di studiare l’incomprensione “nelle sue radici, nelle sue modalità e nei suoi effetti…Tale studio sarebbe tanto più importante in quanto verterebbe non sui sintomi, ma sulle radici dei razzismi, delle xenofobie, delle forme di disprezzo. Costituirebbe allo stesso tempo una delle basi più sicure dell’educazione alla pace”. La mia piccola Lettera alla Costituzione dà spazio all’art.11 che ho già citato. Sarebbe bello esistesse una Costituzione europea con qualcosa di simile al nostro articolo 11, anche perché le guerre non finiscono mai solo con la firma degli armistizi e dolori e ferite durano più a lungo. Ma cominciano sempre, come sapeva Kapuscinski, con “l’interrompersi della comunicazione tra gli uomini”. Penso allora che il mondo di oggi ha bisogno di immaginazione e audacia culturale ed evangelica. Perché mi sembra, di fronte alla guerra, che assomiglia molto a quell’uomo paralizzato della pagina del Vangelo (Lc. 5, 17-26) che non riusciva a muoversi, ma che alcuni sollevano per portarlo davanti a Gesù. E non potendo raggiungerlo, per la folla che si accalcava, lo calano dal tetto con il suo letto e lo mettono davanti a Gesù perché lo guarisca. Chi sono quegli uomini, quelle donne che diventano le braccia e le gambe di quel paralitico al punto da chiedere con il loro gesto una guarigione impossibile? È un gesto che colpisce Gesù stesso, che risponde allo scetticismo degli scribi e dei farisei, scandalizzati che possa esserci un pensiero nuovo, e non solo perdona i peccati di quell’uomo, ma lo guarisce pienamente.  Quegli uomini penso che possiamo essere noi, i giovani universitari, chi lavora all’università, chi insegna. L’università può contribuire a sciogliere la malattia che paralizza le nostre società e impedisce di sognare, vedere, costruire con immaginazione la pace e una nuova convivenza, più umana tra tutti, e tra i popoli.  Non c’è una materia che si chiami “umanizzazione”, ma attraversa tutto il sapere e tutta la ricerca. È proprio questo, mi sembra, il compito che sta davanti a noi.

ZUPPICara amica e caro amico,
sono contento che ti metti in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.
Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!
Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo! Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.

LICIO 2021Per un cammino di laici cristiani, cittadini secondo il vangelo.

Tempi critici e burrascosi

Viviamo tempi critici. Ci ritroviamo frastornati; minacciati ed anche travolti come da venti tempestosi. I mesi della pandemia si presentano a noi come limite nelle comunicazioni ed anche opportunità per la riflessione. E tuttavia fatichiamo a metterci in ascolto per udire la voce della nostra anima e il sussurro dello Spirito di Dio. Arrabbiati o depressi? Scoraggiati o stanchi? Penso a Giona, il profeta. Aveva le sue idee – ovviamene chiare – su ciò che Dio doveva o non doveva fare. Dopo giorni di faticosa predicazione a Ninive, è disgustato di Dio; piccino nella testa e nel cuore è arrabbiatissimo con un dio non fatto a sua immagine. Immobile in solitudine, chiuso in se stesso, senza futuro. E... senza riuscire ad apprendere la lezione del ricino. Elia, altro profeta, ha la sensazione di aver fallito, se ne lagna con Dio e attende: e Dio, nel sussurro di una brezza leggera, lo rimette in cammino. 1
Passi sicuri e destrezza nell’orientamento sono richiesti con forza da questi nostri giorni: gambe e occhi; e orecchi. Lo sportivo che corre nello stadio ha bisogno di gambe e muscoli d’acciaio; il suo percorso è già tracciato da altri. Ma chi si inoltra in terre e monti sconosciuti ha bisogno di guardarsi attorno, inspirare gli odori ed ascoltare i rumori del bosco e della pietraglia. Gambe e occhi per cercare e camminare; e individuare, nel panorama, punti di riferimento per non smarrirsi ed essere in grado di accompagnare il cammino di altri.
Nella grande storia e nelle nostre personali vicende il panorama è il progetto di Dio: fare di Cristo il cuore del mondo. Essere cristiani significa accogliere l’invito a metterci al lavoro con fede solida, consapevolezza gioiosa e determinazione costante. Vuol essere anche il nostro progetto personale e collettivo. Sappiamo che si realizza in tempi lunghi; tempi di semina e stagione di covoni; e coabitazione di frumento e zizzania.

Luisa VANNUTELLIjpgPREMESSA - Una definizione più ampia e 'neutrale' di civiltà
Rifiutando il concetto di civiltà come la forma più evoluta e complessa di una cultura, molti studiosi hanno cercato di usare il termine civiltà in un'accezione assai più ampia e 'neutra', in cui sia assente ogni giudizio di valore, ogni riferimento a una gerarchia di 'superiore' e 'inferiore'. Esemplare è la definizione formulata alla fine dell'Ottocento dall'inglese Edward B. Tylor, considerato da molti il fondatore dell'antropologia culturale: "La cultura, o civiltà [...] è quell'insieme complesso che comprende le conoscenze, le credenze, l'arte, i principi morali, le leggi, le usanze e ogni altra capacità e abitudine acquisite dall'uomo in quanto membro di una società". In questa definizione la civiltà assume un significato globale in quanto comprende la totalità delle manifestazioni di una società, ma non viene più limitata a una fase, la più recente, della storia umana. Viene così a cadere quella connessione tra l'idea di civiltà e la nozione di progresso che circoscrive la civiltà a quelle culture che sono pervenute, nel loro processo evolutivo, a un presunto livello 'superiore' di vita. Optare per una definizione ampliata di questo tipo significa anche rifiutare di parlare di civiltà al singolare, riconoscendo l'esistenza di una pluralità di civiltà. Ogni civiltà può essere intesa come la 'risposta' data da un gruppo umano alle sfide poste dalle particolari condizioni dell'ambiente naturale e sociale in cui viene a trovarsi. La nascita di una civiltà coincide quindi con una serie di risposte riuscite ad altrettante sfide. Una civiltà si sviluppa finché è capace di rispondere alle sfide che incontra sul suo cammino; quando questa capacità viene meno, la sua crescita si arresta; una serie di risposte non riuscite causa la sua disgregazione. Ma non si tratta di un processo irreversibile. Proprio la fase della disgregazione può segnare, anzi, la nascita di una nuova civiltà, 'figlia' della precedente. (dalla relazione di un gruppo sulla parola CIVILTA')

Le parole scelte/citate dai gruppi: solidarietà, relazione, libertà, limite, reciprocità, povertà, istruzione, potere, dignità, diversità, responsabilità, tempo, speranza...   gentilezza.

Sosa arturoL’intervista di Riccardo Benotti pubblicata dal Sir del 15 dicembre
“La democrazia può essere vittima della pandemia se non siamo capaci di cogliere l’occasione per approfondire la coscienza civica, la ricerca collettiva e effettiva del Bene Comune, uscendo dagli interessi individuali di persone, gruppi, categorie sociali o nazioni per sintonizzarci sul maggior bene possibile per tutta l’umanità, ponendo i più deboli al primo posto nelle decisioni complesse che si devono prendere”. Così P. Arturo Sosa Abascal 30° successore di sant’Ignazio di Loyola alla guida della Compagnia di Gesù e, dal 2018, il presidente dell’Unione superiori generali (Usg).
Lei ha più volte ripetuto che una delle vittime della pandemia potrebbe essere la democrazia.
La democrazia è stata fortemente minacciata negli ultimi anni dall’indebolimento della coscienza civica nelle società in cui c’era e dai pochi sforzi di promuoverla nelle altre. La proliferazione di populismi di segno diverso e i fondamentalismi rivestiti da ideologie o distorsioni “religiose” sono stati la causa di questo indebolimento. La pandemia si è convertita in molte nazioni in occasione per accelerare le tendenze autoritarie di governo e sospendere i processi democratici nella presa di decisioni.

Licio 20181. Rinascita Cristiana, dove sei in questa triste stagione di Covid 19? Che fai? La nostra risposta vuol essere fulminante: Sui sentieri della speranza a cercarne la sorgente, uomini e donne in cantiere a costruire il tempo futuro: un futuro - bello e buono, solido e confortevole – per noi, per figli e nipoti.
Vogliamo attraversarlo questo mare in burrasca dell’essere umano e della convivenza civile non travolti da un’angoscia devastante, non impauriti da una religiosità alienante, ma sostenuti dalla serena fiducia che questi nostri giorni, questi giorni del mondo sono anche giorni del Dio con noi, Dio per noi. Non sono i giorni del coronavirus quelli di questo inverno 2020: sono l’oggi di Dio!

2. Questo che stiamo vivendo insieme, pur restando nelle nostre case, è proposto come un incontro di gruppo (chiamiamolo gruppo nazionale o intergruppo). E, come nelle meditazioni e nelle revisioni di vita dei nostri incontri: anche qui, vorremmo confluissero le nostre riflessioni e i nostri aneliti, le angosce e le speranze, la voglia di bene e di vero, nostra personale, dei nostri gruppi, della nostra gente. Mettiamo insieme, come nel viaggio su mari insicuri la volontà di un approdo e la perizia nel guidare la nave, o forse anche solo il riappropriarci del desiderio di un approdo e dell’abilità del marinaio.

Il nostro meditare è un cercare la sorgente di cui parla il Piano di Lavoro. Consiglio caldamente, quest’anno più che in altri anni, di seguire la proposta della meditazione, facendovi aiutare dagli assistenti, ma anche aiutando gli assistenti a capire l’importanza di un lavoro, fatto per crescere insieme come movimento e allargare i personali confini ecclesiali. Soprattutto, va compreso bene il valore della partizione in cinque punti delle meditazioni. Si possono anche utilizzare altri riferimenti biblici, ma i cinque punti sono essenziali: come i cinque sensi del nostro corpo. Le schede sono un po’ arruffate, ma la parola di Dio non lo è! Natale è atteso ed è alle porte. E il Signore Iddio dice a noi: “Io sono colui che è, che era, e che viene, l’onnipotente” (vedi Apocalisse 1). Guardiamo a lui nel tempo liturgico della preparazione al Natale. Vi do solo due indicazioni della Scrittura per alzare il capo, guardare in alto e cercarlo. Voi potrete approfondire.

SEREN RENZOIl tempo estivo è tempo di riposo e riflessione, in questo ci aiuta lo scritto di Renzo Seren.
Non c'è ambito della società, non c'è espressione della cultura che non si stia interrogando sul futuro. Ci siamo resi conto di avere costruito un castello globale su fragili fondamenta. Si è abbandonato il vecchio mondo senza sapere in quale nuovo porto si sarebbe gettata l'ancora ed ora si naviga in mare aperto in balia di venti occasionali. La prima analisi che si può fare, traendo gli spunti principali dalla Bibbia, non può che essere impietosa. "Poiché hanno seminato vento / raccoglieranno tempesta"...e di vento se ne è seminato molto nel mondo. Guerre, violenze, ingiustizie tollerate, distruzione ambientale, sfruttamento degli indifesi, delitti che gridano vendetta al cospetto di Dio. Invece di cercare incessantemente la verità, la si è barattata con opinioni interessate, con le dicerie e i pettegolezzi, con le decisioni di maggioranze sobillate dal vociare becero di tanti imbecilli travestiti da condottieri.
"Ed ecco salire dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse di carne...". I più semplici degli esseri umani hanno sempre interpretato nel modo più saggio il famoso sogno del Faraone: mettere fieno in cascina per l'inverno è di importanza vitale per il contadino; risparmiare a fronte di imprevisti o di tempi bui è il normale accorgimento del buon padre e della buona madre di famiglia. A questa semplicità si sono preferite le complicazioni della finanza, si è ipotizzata la crescita continua in barba ai cicli economici che da sempre hanno alternato fasi di recessione a fasi di prosperità, si sono drogati i consumi espandendo l'indebitamento, si sono attuate politiche di bilancio espansive della spesa corrente per accontentare gli immediati appetiti della gente, trascurando gli investimenti essenziali di medio-lungo termine.
Se sul piano morale si è seminato vento e sul piano economico si è accresciuto in modo abnorme l'indebitamento, quale potrà mai essere il futuro dei nostri nipoti che dovranno raccogliere tempesta e risolvere i gravi problemi che l'indebitamento di oggi ha trasferito su di loro! Se mi fermassi a quest'ultima considerazione perderei il sonno per sempre, ma credo che ci sia sempre una possibilità di salvezza.

Buon pastoreUna riflessione di P.Licio Prati su Giovanni 10,1-10.
Mi dicono che negli Stati Uniti, nelle mense ed altri luoghi di molte scuole campeggia spesso la scritta: I care: mi interesso e mi prendo cura di. E’ un pro memoria non rivolto agli studenti, ma agli insegnanti. A Barbiana era motto programmatico nella scuola di don Milani. Lo dice il Signore Gesù pensando a noi e lo vogliamo dire anche noi pensando ai nostri ragazzi.
L’immaginario della mia generazione esige che, come nelle fiabe, un vero re abbia una corona in testa ed uno scettro d’oro tempestato di perle preziose. Nelle civiltà dell’antico Vicino Oriente lo scettro dei re era… un bastone di legno: lo stesso bastone con cui i pastori accompagnavano le loro greggi.
Di qui, anche nelle Sacre Scritture ebraico-cristiane l’uso del termine “pastore” per indicare il re, il capo, la guida di un popolo. Nel passo del vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù afferma con chiarezza: “io sono il pastore buono (più precisamente “il pastore, quello bello” con tutta la connotazione che questa parola porta in sé nella lingua greca), il pastore DOC, la guida vera, il capo che dà vita ad una umanità nuova, che porta a buon fine la storia di chi a lui si affida e da lui si lascia guidare). (Un tempo i nostri contadini usavano dire “ vado a governare le bestie” per dire “vado a dar da mangiare alle mucche”…)
Tre compiti del pastore, tre dimensioni essenziali di ogni educatore
Tre pastori sono a fondamento dell’identità dell’antico Israele biblico e dell’ebraismo di tutti i tempi. Ci possono indicare tre elementi essenziali per essere educatori-pastori (e non semplici stipendiati/mercenari ai quali – come dice Gesù – non interessano le pecore e non se ne prendono cura).
Abramo, pastore e allevatore di bestiame. Dio gli dice: “Va via dalla tua terra , dalla tua gente verso la terra che io ti mostrerò; diventerai nazione numerosa come le stelle del cielo”.
Mosè, pastore nella terra di Madian, del gregge di suo suocero. Dio gli dice: “Torna in Egitto, fa’ uscire il mio popolo dalla schiavitù e fallo entrare nella terra dove scorre latte e miele”.
David, il re. Dio dice di lui: “Ho preso David, mio servo, da dietro il gregge e l’ho costituito pastore del mio popolo”.
E Abramo diviene il grande padre e il pastore migrante verso una terra ignota; in cerca di un futuro inedito, nuovo non per se stesso, ma per la nazione che uscirà dalla sua stirpe. Ha momenti di stanchezza, corre rischi, ma spera contro ogni speranza. Suo punto di forza, sempre, sarà l’amicizia fedele di dio di cui ha deciso di fidarsi.
E Mosè fa uscire gli Ebrei dall’Egitto, li guida e cammina insieme a loro nel deserto. Si arrabbia quando sono sfiduciati e si  dimenticano di Dio; si arrabbia anche con dio quando la sfiducia coglie anche lui e chiede a dio di non arrabbiarsi quando il popolo è infedele. Ma con caparbietà ne condivide il destino. Mette nelle mani degli Israeliti quella legge divina che permetterà loro di diventare autonomi, uomini liberi e adulti nella terra promessa. Suo punto di forza: dio cammina con lui.
David, grande re guerriero e  grande peccatore. Difende il suo popolo dai nemici, garantisce sicurezza e pace. Suo punto di forza: sa confrontarsi con la legge di Dio e riconoscere i propri errori.
Direi che questi tre uomini ci indichino tre dimensioni essenziali nella personalità di un educatore: credere, sognare a darsi da fare per un futuro nuovo, quello dei ragazzi; guidare i giovani nel loro percorso di vita; saper riconoscere i molti lupi e gli squali che creano problemi.
Atteggiamenti e gesti del pastore, quello bello
Nel passo ascoltato Gesù parla di se stesso e del nostro rapporto con lui; ma si propone anche come modello per ogni azione educativa e di chiunque abbia delle responsabilità.

ReggioEmiliaE’ difficile ed imbarazzante riprendere in mano i nostri appunti sull’inchiesta, lontana nel tempo.
Non ci è dato vivere in uno splendido isolamento: i mezzi d’informazione e comunicazione, i nostri familiari, con scelte talvolta molto differenti dalle nostre, i vicini, gli amici ci scuotono dal nostro modo di essere e pensare, imponendoci di esserci non come mummie, ma partecipi alla politica con mente e cuore e con la nostra convinzioni di fede, .debole e bisognosa di approfondimento.
Oggi fede non è più un insieme di dogmi, di formule, di pratiche, che pure, data l’età, continuiamo a seguire fedelmente. Nella Chiesa non sempre respiriamo aria di libertà, di novità evangelica. Molti ecclesiastici si arroccano su posizioni da giudici e censori come gestori della dottrina, contraddicendo quasi l’umanità di Papa Francesco. E’ talvolta ragione di sofferenza, ma l’unità è sempre da cercare.


Licio 2018Il diacono Filippo e il ministro di Candace (
citazione di Is 5,7-8) At 8,31
Quegli disse: "E come potrei, se nessuno mi fa da guida?". Poi pregò Filippo di salire e di sedersi accanto a lui. 32 Or il passo della Scrittura che egli leggeva era questo: "Egli è stato condotto al macello come una pecora; e come un agnello è muto davanti a chi lo tosa, così egli non ha aperto la sua bocca. 33 Nella sua umiliazione gli fu negata ogni giustizia; ma chi potrà descrivere la sua generazione? Poiché la sua vita è stata tolta dalla terra". 34 E l' eunuco, rivolto a Filippo, disse: "Ti prego, di chi dice questo il profeta? Lo dice di se stesso o di un altro?". 35 Allora Filippo prese la parola e, cominciando da questa Scrittura, gli annunziò Gesù.

Grasselli11. PREMESSA
Il tema di cui debbo trattare sinteticamente, nei tempi limitati a mia disposizione, riguarda il principio di sussidiarietà, un principio fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa, che opera per assicurare alla persona libertà, autonomia, responsabilità, dignità, e che si collega armonicamente con gli altri principi base della stessa. Un principio concretamente di grande rilievo, difficile da attuare, e che può concorrere al miglioramento della vita economica, sociale e politica nel nostro Paese. Ciò nonostante, mi sembra che ancor oggi tale principio non figuri (soprattutto nella sua accezione “orizzontale”, che ricorderemo tra poco) tra i concetti di uso corrente da parte dei cittadini in genere, e neppure dei gruppi dirigenti (di quelli che hanno responsabilità di governo, o di coordinamento, o di informazione, o di formazione).
Se inoltre pensiamo al principio di sussidiarietà nella sua specificità di valorizzazione dei corpi intermedi, è proprio la cittadinanza dei corpi intermedi che “sembra essere scomparsa dal dibattito pubblico, che è tornato ad essere appiattito in una relazione diretta ‘politico-singolo cittadino’. E si ripropone con forza l’idea che la buona politica sia quella in grado di valorizzare e promuovere la capacità di auto-organizzazione della società, di riconoscere l’associazionismo, il volontariato, i comitati di quartiere, le esperienze di auto-mutuo aiuto partendo appunto dall’azione sociale, non dal progetto politico [1].
Mi è stato assegnato il compito di inquadrare questo principio nella Dottrina Sociale e di considerare gli aspetti che ne sottolineano l’attualità. Ed è l’occasione per ripercorrere un progetto sull’uomo, e sulla sua realizzazione, individuale e societaria, che oggi sembra non facile riproporre.

ACCORNERO1Il 1° dicembre 2019, prima domenica di Avvento, Papa Francesco firma e promulga da Greccio (Rieti), la lettera apostolica «Admirabile signum» sul significato e il valore del presepio, «così caro al popolo cristiano, che suscita sempre stupore e meraviglia». Francesco è lontano anni luce da coloro, come i partiti di destra, che vogliono farne un simbolo di identità nazionale e, quindi, di divisione.

SEGNO RELIGIOSO E ATTO DI EVANGELIZZAZIONE - «Rappresentare la nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Siamo invitati a metterci in cammino, attratti dall’umiltà di colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che ci ama al punto da unirsi a noi, perché possiamo unirci a lui». Elogia «la bella tradizione delle nostre famiglie che preparano il presepe, anche nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze. È davvero un esercizio di fantasia creativa« che crea «piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini quando papà, mamma e nonni trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude una ricca spiritualità popolare». Si augura che «non venga mai meno e, dove fosse caduta in disuso, sia riscoperta e rivitalizzata».

papa imamIl Documento è stato firmato da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyib al termine della conferenza globale sulla fraternità umana che ha riunito 700 capi religiosi di tutto il mondo. Un evento storico sia perchè è stata la prima visita di un papa nella Penisola araba sia per l'importanza di trovare un terreno comune nell'affermazione che "tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l'allontanamento dal valori religiosi". I due leader religiosi hanno offerto ai loro fedeli una narrazione condivisa. Questo consente di sentirsi parte della stessa storia, di percepirsi confrontati dalle stesse domande, dalle stesse inquietudini e preoccupazioni. (un ottimo articolo di approfondimento è a disposizione sul numero di marzo di Aggiornamenti Sociali)

Grasselli11.Criticità del contesto attuale
Orienterò la vostra attenzione su alcuni aspetti dell’attuale vita individuale e sociale che mi preoccupano fortemente, e che invece non si presenterebbero se si seguisse un approccio orientato al Bene Comune … Mi colpisce l’assenza di un confronto pubblico, aperto, sincero, profondo sul futuro che ci attende… e il navigare a vista, nel buio, mentre cresce l’insostenibilità, sociale e ambientale a livello nazionale, continentale, planetario.   Due dati che mi impressionano sempre. Il giorno nel quale il consumo supera le risorse annualmente prodotte dal Pianeta (Earth overshoot day): nel 2000 era il 4 ottobre, nel 2018 è arretrato al 1 agosto. Nel 2010 la ricchezza delle 388 persone più ricche del mondo era pari a quella della metà più povera della popolazione mondiale (3,8 miliardi di persone), nel 2018 per ottenere questo risultato bastava la ricchezza di 26 persone.  
In questo contesto, per quale progetto di società e di uomo stiamo lavorando (assenza di discussione sulla scuola, sull’Italia e sull’Europa che vogliamo …) ? Un progetto di società e di uomo non c’è … Si va avanti schiacciati sul presente, facendo riferimento a slogan, evitando un confronto approfondito sulla complessità dei problemi (immigrazione, povertà, Europa…), di cui si propongono solo alcuni aspetti. E parlo non solo della politica attuale, ma di tendenze della politica nel nostro Paese (e non solo).

Grasselli1Quando parliamo di fiducia, della capacità di fidarsi degli altri e di ripagare la fiducia ricevuta, parliamo del fondamento del vivere civile. Come afferma John Locke, la fiducia è il collante della società. E Simmel giunge a dire: “senza la fiducia generalizzata e vicendevole tra le persone, la società si disintegrerebbe …”  la fiducia gioca insomma un ruolo fondamentale in ogni interazione sociale diretta o indiretta, personalizzata o anonima, mediata o immediata … (Bruni e Zamagni, p.397).
Purtroppo anche in Italia, come in altri Paesi dell’Occidente, si osserva una diffusa caduta di fiducia, in politica (verso le Istituzioni, verso gli esperti, verso la politica democratica), in economia (le imprese lasciano l’Italia, le imprese investono poco, le famiglie spendono poco) . E anche nel sociale: le famiglie molto spesso si sentono lasciate sole, quanto meno dalle istituzioni pubbliche (penso ai casi frequentissimi di nuclei familiari con non autosufficienti, e costretti ad arrangiarsi …)

MaggioliniTutti ricordano come, nella Bibbia, nel primo libro dei Re, Salomone, alla domanda del Signore di chiedergli ciò che voleva che Lui gli concedesse, abbia risposto chiedendo la saggezza di saper distinguere il bene dal male (1Re 3,5-9). Ebbene, affrontando le trasformazioni sociali e culturali, e – in ultima analisi – etiche, portate dalle nuove tecnologie, in particolare dalla Rete, abbiamo proprio bisogno di tanta saggezza per saper distinguere ciò che è positivo (per trarne vantaggio) da ciò che è negativo (per prevenirlo).

E già che siamo in vena di citazioni bibliche, parlando delle trasformazioni del sapere nell’era digitale, potremmo ben dire, col vangelo che «a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha» (Mt 13,12).

FrancescaL’identità di Rinascita Cristiana

RC è nata in tempo di crisi, per i tempi di crisi, per stare vigile ed attiva non solo entro il confine ma sul confine... indirizzata cioè come gruppo e insieme di  gruppi alla missione di dialogo culturale e promozione solida e seria umano-cristiana dell'ambiente di vita in cui Dio ha messo ciascuno e il gruppo.

Il fine ultimo del gruppo e del movimento è la evangelizzazione missionaria:la promozione della fede vissuta presso i lontani dalla fede e vita cristiana.

Poi si è arrivati rapidamente alla crisi odierna: il lavoro è divenuto precario, la sicurezza sociale è diminuita e la caratterizzazione dei nuovi destinatari o aderenti a RC, sempre meno formati religiosamente dall'ambiente d'origine, si è spostata forse in modo tale da non permettere più una individuazione dei nostri destinatari su base sociologica-sociale. Restava solo l'idea della "azione del simile sul simile" come la più immediata e diretta indicazione.

E il richiamo allora e oggi ad una spiritualità di Incarnazione come fatto totale che ci caratterizza come movimento di spiritualità.

CasatiQuesto il titolo che mi è stato affidato.
Faccio una premessa. Sono lontano dai vostri gruppi da trent’anni e quindi registrerete purtroppo nelle mie parole una distanza, che per fortuna sarà colmata dagli interventi di oggi che entreranno sempre nel tema, penso a quello ora ascoltato di Serena Grechi e quelli che seguiranno nella mattinata e nel pomeriggio. Mi sento più sereno: colmeranno i miei vuoti e colmeranno anche questa mia modalità di  procedere non tanto per concatenazioni logiche ma più per storie e sussulti, in uno stile quasi rapsodico.

LicioI gruppi di Rinascita Cristiana stanno sviluppando nella meditazione proposta dal piano di Lavoro, il tema dell’Alleanza e, a partire dal seminario estivo, quello di un pensare critico; sono per noi un invito ad un sano discernimento e ad un valido impegno.

Cosa c’è in un nome?

What’s in a name? that which we call a rose… – si chiederebbe la Giulietta di Shakespeare.

Cosa c’è dentro la parola diathêke (che traduciamo con ‘alleanza, testamento’)? E dentro la parola lógos (che noi traduciamo con ‘Verbo, Parola’)?

 

Capisci quello che leggi
Per un uso critico della Bibbia nella pastorale di Francesca Sacchi Lodispoto

Atti 8, 26-40. Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e và verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etiope, un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Và avanti, e raggiungi quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:

Poverta esclusione sociale

Cenni sulle politiche contro povertà ed esclusione sociale

(a cura di P. Grasselli)

1.Interventi pubblici di welfare sociale (da Gori, Ghetti,…)

il Welfare Sociale è l’insieme di servizi alla persona e prestazioni monetarie erogati per alleviare, rimuovere o prevenire condizioni di disagio e/o mancanza di autonomia… in concreto, servizi sociali e socio-educativi di competenza dei Comuni, dei servizi socio-sanitari di titolarità delle ASL (Regioni), di alcune

prestazioni monetarie (d’invalidità civile e contro la povertà) di responsabilità statale… due gruppi di utenti: chi in situazione di disagio (povertà, varie forme di emarginazione)… chi in condizione di ridotta autonomia (anziani non autosufficienti, disabilità, bambini piccoli)… entrambi esposti ai cd “nuovi rischi del welfare”, fragilità diffusesi fortemente negli ultimi decenni…
Il Welfare Sociale non rientra tra le categorie tradizionalmente utilizzate per indicare le componenti del

Cittadini e istituzioni
Occorre un’Italia “più capace di prendersi cura, a partire dai bisogni essenziali ma non limitandosi a quelli, nella prospettiva della ricostruzione dei legami, delle storie personali e familiari, delle comunità territoriali” (Frigo).

Istituzioni e cittadini oggi in italia - prof. Giuseppe Dalla Torre

1. Diffidenza per le istituzioni ma senso civico?

Si è sempre detto che gli italiani sarebbero caratterizzati, tra l’altro, da scarso senso civico e l’osservazione quotidiana dello svolgersi della vita nel nostro Paese sembrerebbe dare, spesso, una indiscutibile conferma dell’assunto.
Si tratta di un assunto che è tanto risalente nel tempo e radicato, del quale sono state date diverse motivazioni. Una di queste, e certamente tra le più ricorrenti, consiste nel ritenere che da noi la cittadinanza sarebbe debole in ragione delle radicate convinzioni cattoliche. L’Italia, in altre parole, non avendo conosciuto la Riforma