gruppilavorosab8Il lavoro dell'anno nei gruppi di Rinascita Cristiana

Una delle sfide di oggi è controllare i conflitti, impegnandosi a trasformare le situazioni di potenziale rottura, personale o collettiva, in nuove opportunità; è il nostro agire, infatti, che può far diventare i conflitti occasioni di sviluppo e di crescita futura. Da queste premesse di fondo è partito il percorso di quest’anno. Nelle sintesi arrivate dalle città si coglie il disagio provocato dai contrasti e dalle contraddizioni che caratterizzano questo tempo di accelerazione senza tregua in cui tutto cambia e viene messo in discussione e in cui il dominio del vivere qui e ora annulla la durata degli affetti e di tutte le esperienze.
Si è spiazzati come cittadini e come credenti di fronte alla complessità del mondo e ai suoi interrogativi inaspettati, cui vorremmo rispondere a partire dalla la nostra identità cristiana, ma aperti a valutare con discernimento le sue provocazioni.
Rendere abitabile un conflitto non vuol dire sempre risolverlo, anche perché a volte non c’è una soluzione immediata, ma sapere che malgrado ciò vi è la possibilità di vivere al suo interno con generosità, dignità. Non costruiremo il futuro restando a guardare con virtuosa indignazione guerre fratricide e mazzette, ma cercando di assumere in prima persona la responsabilità di tutto questo confidando nell’aiuto di quel Dio incarnato che del conflitto e del contrasto ha fatto esperienza dirette venendo ad abitare in mezzo a noi.

 

La sfera della famiglia e delle relazioni, come sperimentiamo quotidianamente, è messa in crisi nelle forme tradizionali. Se per famiglia si intende ”il luogo dove ognuno possa essere se stesso e in cui organizzare tempi e modi di vivere insieme e scambiarsi relazioni di stima e affetto”, secondo alcuni la definizione di “famiglia” può riferirsi anche a situazioni diverse da quelle tradizionali: convivenze, separati soli o con figli, risposati, famiglie allargate, coppie omosessuali. In altri le situazioni “irregolari” suscitano disorientamento e dubbi, pur nel rispetto delle persone.
É evidente che i valori in cui le nostre generazioni si sono formate non hanno retto all’urto dei cambiamenti. I giovani, figli del loro tempo, in generale sono indifferenti rispetto ai modelli tradizionali, rifiutano di compiere scelte definitive, vivono nella provvisorietà e nel culto dell’autodeterminazione.
Fra le cause di rottura dell’equilibrio della famiglia ci sono in moltissimi casi i problemi legati al lavoro: carriera, orari pesanti, sedi di lavoro lontane, precarietà, disoccupazione. I tempi del lavoro sono sempre meno compatibili coi tempi della famiglia; nell’attivismo produttivo ed efficientistico imperante la dimensione affettiva delle persone non trova riconoscimento né tempo.
Diversi gruppi indicano come rimedio alla rottura della pace familiare la capacità di ascolto e di dialogo, la comprensione e “il perdono pieno e gratuito”, attitudini sostenute dalla preghiera. Quando la famiglia “ tiene”, è perché poggia sulla “pazienza, la volontà di impegno, la dimenticanza di sé”, valori che andrebbero trasmessi alle nuove generazioni che, insieme ad altre fragilità, mostrano una diffusa inadeguatezza genitoriale, tanto che si denuncia da più parti una vera e propria emergenza educativa.
La custodia della famiglia non trova molto ascolto nella politica che non offre servizi sufficienti a rispondere ai molteplici bisogni delle famiglie (e delle donne) italiane, e si accontenta di proclamazioni di principio.
Il sommarsi delle nuove modalità di relazione e di convivenza con gli effetti della rivoluzione scientifica e tecnologica ha portato a una diversa configurazione dei diritti: unioni civili, inizio e fine vita, unioni omosessuali, tecniche di procreazione assistita e di maternità surrogata, identità di genere reclamano un riconoscimento e “pongono alla nostra coscienza la necessità di prendere posizioni e decisioni”.

Se da una parte si allarga la sfera dei diritti privati, il contrario avviene per i diritti sociali che subiscono gli effetti della rivoluzione tecnologica e del mercato globalizzato, e arretrano senza ostacoli verso posizioni del passato. Sono misconosciuti e talvolta negati il diritto al lavoro, alla giusta retribuzione, al rispetto delle norme di sicurezza, alla casa, alle pari opportunità uomo donna e soprattutto al futuro delle giovani generazioni.
E altri nodi restano da sciogliere: ius soli, i diritti delle fasce più deboli, delle donne vittime di violenza dentro e fuori casa, dei migranti, delle minoranze invisibili. Eppure ci vantavamo di essere la civiltà dei diritti!
Ciò che si è drammaticamente offuscato è il senso del bene comune, verso il quale convergono, intrecciandosi, diritti sociali e diritti privati.
Si avverte l’urgenza di riscoprire e vivere l’etica della responsabilità a cui richiama papa Francesco, e di uscire dal recinto del “proprio particulare”. “Il Vangelo e la Costituzione indicano la strada: solidarietà, uguaglianza, sacralità della vita, dignità della persona, libertà”. E’ nostra responsabilità sostenere gli amministratori che se ne fanno interpreti.
La quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo, la cosiddetta Industry 4.0, costituisce forse lo sconvolgimento più imponente del nostro tempo e sta cambiando oltre ogni immaginazione il modo di produrre, di vendere, di consumare, di gestire, di lavorare; l’intelligenza artificiale sostituisce sempre più l’uomo con conseguenze per ora non del tutto prevedibili. A questo si aggiungono gli effetti deleteri della dittatura del mercato e del profitto e del dominio della finanza sull’economia reale per cui il lavoro umano è trattato alla stregua di una merce.

Sono in gioco la dignità e i diritti delle persone, la vita e il futuro dei nostri giovani , penalizzati anche dalla crisi economica, e “soprattutto il valore dell’uguaglianza e della giustizia”.
Papa Francesco ci ricorda che non stiamo vivendo solo una crisi economica e finanziaria, ma una profonda crisi antropologica che nega il primato della persona e il valore fondante del lavoro per l’identità dell’individuo, lavoro che nella concezione cristiana è la partecipazione alla continua creazione del mondo da parte di Dio.
Grande è la nostra responsabilità di cittadini che siamo chiamati a “sostenere figure politiche capaci di visione e di progettualità e ad esigere una gestione buona della cosa pubblica” a vantaggio del bene di tutti.

L’ aspirazione al bene comune è ostacolata dal fenomeno della corruzione che corrode alle radici il sistema sociale. “Questo sistema distruttivo è così diffuso e capillare da non essere facilmente riconoscibile: dare bustarelle, chiedere e fare raccomandazioni, scambiarsi favori, far diventare i favori diritti, tutto questo non viene interpretato come corruzione, ma come prassi normale. Vi è una diffusa cultura della tolleranza verso ciò che conviene, per cui si dimenticano i valori della onestà, della serietà, della trasparenza”.
Opporsi significa rischiare; “c’è quindi chi si rifugia nell’indifferenza, nell’apatia, chi si rassegna perché “tanto non serve a niente”.
“Vivere secondo le proprie convinzioni morali diventa una scelta difficile, bisogna avere l’umiltà di ammetterlo”, anche se resta “ il dovere civile e morale di rimboccarsi le maniche e di lottare con armi nuove ed efficaci contro la barbarie”.
“La strada privilegiata è l’educazione: alla giustizia, alla legalità, alla testimonianza personale sul posto di lavoro, nelle case, nelle relazioni amicali”.
La situazione osservata toglie fiducia nel futuro se non si sa cogliere il “bene che c’è” e che svela la continua, sempre presente azione di Dio nella storia, da Lui affidata alle mediazione della responsabilità dell’uomo. Tra queste responsabilità, oggi, c’è la formazione dei giovani che andrebbero educati alla forza morale, alla vita interiore, alla lentezza della riflessione, del pensiero, della preghiera.
Una importante lezione ci viene dalla sapienza biblica dei profeti che immaginavano un oltre, un mondo pacificato al di là del buio della storia, e ci insegnano che con la forza della fede possiamo essere costruttori di speranza.