RONCORelazione tenuta da P. Giuseppe Ronco, missionario della Consolata, in occasione della giornata in preparazione alla Pasqua dei gruppi di Rinascita Cristiana di Torino

Signore Gesù Cristo, Signore, infondi in noi il tuo spirito, “spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” cosicché possiamo discernere il vero dal falso e compiere in tutto la tua volontà.

Facci contemplare continuamente la tua vita, la tua passione e la tua morte sulla croce e non dimenticare mai l’esempio del tuo amore, cosicché la nostra vita sia
sempre più conforme alla tua.

Ci proponiamo di vedere cos’è un conflitto, di come abitarlo e risolverlo, usando valori e metodologie evangeliche, come si conviene ai discepoli di Gesù.

I CONFLITTI

A livello sociologico, il conflitto può essere definito come una divergenza nella quale ogni attore coinvolto vuole imporre il proprio punto di vista senza fare concessioni all’altro. Quando le varie persone si mettono insieme, le disposizioni positive di ognuno possono entrare in sinergia, oppure scontrarsi.

A livello esistenziale, può essere definito come lo stato di tensione che una persona prova, nel momento in cui riscontra che i suoi bisogni, desideri, impulsi e motivazioni sono in contrasto con gli scopi da raggiungere e i comportamenti pratici (divisione tra l’io ideale e l’io reale). Si sperimenta una discordanza tra ciò che una persona desidera e la soddisfazione del desiderio stesso. Il conflitto in realtà ha radici in ogni persona (cf. GS n. 10). C’è un’ansia presente nel cuore dell’uomo, nel confronto tra i suoi desideri che tendono all’infinito e i suoi limiti che non gli permettono di compierli.

A livello antropologico, invece, si può definire come un evento relazionale problematico, prodottosi per interessi, obiettivi, bisogni e punti di vista diversi tra due o più persone.
Una delle regole peculiari è ricordarsi che da un conflitto risolto non devono uscire né vinti né vincitori, ma persone soddisfatte di aver trovato un punto di incontro.
“Non dobbiamo temere i conflitti, i contrasti e i problemi con noi stessi e con gli altri, perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi (Charlie Chaplin)”

AFFRONTARE = ABITARE, ASSUMERE I CONFLITTI E RISOLVERLI

I conflitti sono inevitabili in qualsiasi contesto della vita quotidiana, per questo bisogna essere in grado di riconoscerli, gestirli e risolverli in chiave positiva. È importante vederli come espressione di visioni differenti e momenti di crescita individuale, o addirittura come possibilità di migliorare le proprie relazioni attraverso una comunicazione più efficace.
Karl Marx diceva: “Non vi è progresso senza conflitto: questa è la legge che la civiltà ha seguito fino ai nostri giorni.”
Per indicare la capacità di essere in modo abituale dentro la realtà in cui ci troviamo ad esistere, noi usiamo il verbo abitare.

Abitare i conflitti significa imparare a convivere con difficoltà, con situazioni che non corrispondono ai nostri gusti, ai nostri piaceri, a quello che vorremmo. Vuol dire assumere, cioè accettare che queste situazioni possano arrivare.

Risolvere i conflitti vuol dire invece trovare soluzioni capaci di risolvere la crisi.
Scriveva il teologo morale Klaus Demmer: «Ricomporre i conflitti è il pane quotidiano dell’agire umano; impegno che, sul piano del non appariscente ethos quotidiano, non risparmia nessuno». Nulla di diverso da quanto troviamo nell’Evangelii gaudium: «Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato» (EG 226). La premessa è allora quella del riconoscere il conflitto come parte costitutiva della persona e della società.

Dobbiamo prendere consapevolezza dei conflitti interiori che ci abitano e che è bene che sappiamo riconoscere. Capire cosa accade nel nostro cuore e vedere le parti che tendono a non conciliarsi. Il problema, nel cosiddetto tempo della post verità, è l’incapacità di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è e questo pone una questione morale seria che potremmo definire del discernere il bene e il male.

Occorre discernimento, per cogliere come Dio è all’opera nel mondo e poi per ascoltare la sua chiamata a condividere questo suo lavoro a livello personale, comunitario e istituzionale.
Questo discernimento richiede profondità di sguardo, capacità di andare oltre la superficie e anche oltre il livello delle analisi e degli argomenti razionali, per interrogarci su quale sia la volontà di Dio e quindi cercarne i segni nella storia personale e collettiva. È questo lo sguardo contemplativo per sant’Ignazio: non guardare “verso l’alto”, ma guardare il mondo con lo sguardo del Figlio.

EVANGELIZZARE I CONFLITTI
La causa, la “madre” di ogni conflitto, ci viene rivelata in Genesi 2:16-17. Dio aveva vietato di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, pena la morte. Ma Satana riuscì con astuzia a suggerire ad Adamo ed Eva di disubbidire per poter diventare come Dio, per avere da sé stessi l'intelligenza per decidere, in modo indipendente da Dio, cosa sia bene, giusto, ragionevole e cosa sia male e ingiusto.

L'eliminazione di Dio dalla vita dell'uomo è dunque la causa di ogni conflitto, piccolo o grande che sia. Quando si vuole estromettere Dio dalle situazioni conflittuali per mettere al Suo posto l'uomo, con la presunzione di trovare le soluzioni con la sua intelligenza umana, i conflitti si fanno sempre più ingarbugliati e disastrosi. L'apostolo Giacomo mette le cose in chiaro quando afferma che ogni sapienza che non ha la sua origine in Dio è “terrena, animale e diabolica” (3:15). Da essa sorgono i conflitti, le contese, le gelosie, le invidie; mentre là dove operano la sapienza e l'intelligenza di Dio, i conflitti trovano la loro soluzione, i turbamenti e le confusioni si risolvono (vedi Giacomo 3:13-18).

Se desideriamo realmente risolvere i conflitti, esiste una sola via: quella di ritornare alla vera, unica sorgente d'intelligenza e saggezza che si trova solamente in Dio. Ciò è possibile perché Gesù fu mandato dal Padre per risolvere il conflitto iniziale – quello tra l'uomo e Dio – aprendo la strada al perdono e alla riconciliazione per mezzo del sangue della croce (Colossesi 1:20). Questa fondamentale riconciliazione rimane la chiave, l'unica chiave per un'efficace e duratura risoluzione di qualsiasi conflitto. Perdono e riconciliazione non sono frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, né il risultato dell'intelligenza o della capacità umana, ma derivano dall'albero della vita che è Gesù, il quale è stato fatto da Dio per noi intelligenza e sapienza (1° Corinzi 1:30).

Per una cultura della misericordia
Dobbiamo sviluppare una cultura della misericordia: san Giovanni Paolo II parlava del perdono come unica possibilità di soluzione autentica e di risanamento delle ferite; questo è applicabile a tutti i conflitti, anche i più personali.
Non si può infatti risolvere un conflitto se non c’è un riferimento a qualcosa di più grande: per noi cristiani a quell’amore reciproco che ci insegna il Signore; se si guarda lì, si può camminare insieme verso quel valore, sacrificando ad esso altre realtà che contano di meno.
San Francesco scriveva a un ministro provinciale: «Non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso».
Un’altra dimensione che aiuta ad affrontare insieme i conflitti, e che può opportunamente diffondersi sempre più, è una prassi evangelica di correzione fraterna sempre più autentica: sia a livello personale, sia a livello comunitario ove s’impara a dirsi gli uni agli altri, davanti alla comunità, ciò che di bello si riscontra, per incoraggiarsi a crescere condividendo il bene, e anche il meno buono, per aiutarsi personalmente e come comunità; allora si sperimenta che il negativo, se accolto e condiviso in un clima di carità, diventa una grande forza di maturazione.

Efesini 2 : intercedere

[14] Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, [15] annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, [16] e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia.
“Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno”, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione.
Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto.
È il gesto di Gesù Cristo sulla croce, del Crocifisso. Egli è colui che è venuto per porsi nel mezzo di una situazione insanabile. Gesù ha potuto mettersi nel mezzo perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio”. (Card. Carlo Maria Martini: Un grido di intercessione, 29 gennaio 2001)

COME SI COMPORTA GESÙ DI FRONTE AL CONFLITTO?

Gesù visse tanti conflitti: coi genitori che non lo capivano, coi discepoli che cercavano un messia vittorioso e non accettavano le sue anticipazioni di morte, coi farisei, gli scribi, i sacerdoti. Lui stesso appena nato fu considerato “segno di contraddizione”.

Rimane per noi l’esempio fondamentale (l’upogrammon: cfr 1 Pt 2) per affrontare i conflitti.

IL DISCORSO ECCLESIOLOGICO IN MATTEO 18

Nel discorso ecclesiologico del Vangelo di Matteo (Mt 18) si parla di possibili conflitti nella comunità e di come affrontarli. In particolare, i vv. 15-18 evidenziano che la correzione fraterna fa parte della vita della comunità cristiana: se una comunità non vive la correzione fraterna, non può dirsi cristiana.
D’altra parte i vv. 21-35, la parabola del servo spietato, ci mostrano che, per affrontare le dinamiche della vita fraterna, c’è bisogno della misericordia: «Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno?» (v. 33). La fonte della soluzione del conflitto è in fondo una misericordia già ricevuta, da poter poi donare anche agli altri. Come scriveva Bonhoeffer, se uno non sa perdonare è perché ancora non ha scoperto che è stato perdonato da Dio.
È interessante che Gesù inizi il discorso ecclesiologico parlando della priorità dei più piccoli, e poi della pecora smarrita, che riceve da lui più attenzione di tutte le altre: «Così è volontà del Padre che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (v. 14). Perciò al centro dell’interesse comunitario non viene messo “il più grande” ma “il piccolo”: questa parola si può interpretare in diversi sensi, comunque qui “il minore” è quello che conta di più. E ai vv. 19-20 sembra esserci una chiave di soluzione: la preghiera. La risoluzione del conflitto non è affidata alle sole forze umane. Il conflitto non si risolve da soli. Né da soli con Dio, né da soli fra noi, ma con entrambi i riferimenti: Dio e il fratello.

MARCO 2,1-12

  • • Nel 70, anno in cui Marco scrive il suo vangelo, erano molti i conflitti nella vita interna ed esterna della comunità. Non si sapeva come comportarsi dinanzi alle accuse che venivano da parte delle autorità romane e dei capi giudei. Marco racconta cinque conflitti di Gesù per orientare le comunità.
  • • Eccone lo schema, anche se noi analizzeremo solo il primo:

         1º conflitto: Mc 2,1-12: il paralitico guarito e perdonato

         2º conflitto: Mc 2,13-17: Levi e il pasto coi peccatori

         3º conflitto: Mc 2,18-22: il digiuno

         4º conflitto: Mc 2,23-28: violazione del sabato

         5º conflitto: Mc 3,1-6: guarigione di un uomo di sabato

Il primo conflitto

“Dopo alcuni giorni Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.
Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portaglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”.
Erano là seduti alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”
Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”.
Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”

Riflessioni

  • La solidarietà degli amici ottiene al paralitico il perdono dei peccati. In quel tempo, la gente pensava che i difetti fisici (paralitico) fossero un castigo di Dio per qualche peccato commesso. Per questo i malati, i poveri, i paralitici, si sentivano rifiutati da Dio! Ma Gesù non pensava così. Quella fede così grande, era un segno evidente del fatto che il paralitico era accolto da Dio. Per questo, lui dichiara: “I tuoi peccati ti sono perdonati!” Con questa affermazione Gesù nega che la paralisi fosse un castigo dovuto al peccato dell’uomo.
  • Gesù è accusato di blasfemia dai padroni del potere. L’affermazione di Gesù era contraria al catechismo dell’epoca. Per loro, solo Dio poteva perdonare i peccati. E solo il sacerdote poteva dichiarare qualcuno perdonato e purificato.
  • Questo miracolo rivela tre cose molto importanti:
  1. a) Le malattie delle persone non sono un castigo dei peccati.
  2. b) Gesù apre un nuovo cammino per giungere fino a Dio. Ciò che il sistema chiamava impurità non era già ostacolo per le persone per avvicinarsi a Dio.
  3. c) Il volto di Dio rivelato mediante l’atteggiamento di Gesù era diverso dal volto severo di Dio rivelato dall’atteggiamento dei dottori.

Approfondimenti

  • Al seguito di Gesù, nella comunità cristiana si svilupparono presto alcuni valori e atteggiamenti fondamentali a cui fare ricorso in caso di conflitti.
  • Il primo è quello di promuovere ovunque una più generosa cultura dell’ospitalità verso tutti, soprattutto i peccatori. L’ospitalità è la virtù che permette alle persone di vedere coloro che sono diversi non come minacce o nemici da temere, ma come compagni da accogliere.
  • Poi, l’importanza di avere uomini e donne impegnati e capaci di promuovere il servizio e la riconciliazione. Il libro degli Atti ne dà gli esempi.
  • C’è l’invito a cambiare lo stile di vita personale e comunitario considerando i ministeri non solo come un servizio per risolvere i conflitti, ma anche come uno stile di vita che testimonia la presenza del Risorto.
  • Emerge l’importanza della riconciliazione che non è irenismo, ma volontà di transitare dal conflitto alla comunione.
  • Infine la speranza di un mondo rinnovato, nuovo, che nasce dalla consolazione dell’incontro con il Signore Risorto.

 IL DISCEPOLO DI FRONTE AI CONFLITTI: FILIPPESI 4:2-4

Si potrebbero analizzare numerosi esempi, tratti soprattutto dal libro degli Atti. Noi prenderemo in considerazione un conflitto tra discepoli della comunità di Filippi, molto significativo.
“2 Esorto Evodia ed esorto Sintìche ad essere concordi nel Signore. 3 Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita. 4 Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi. 5 La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino”. (Filippesi 4:2-5)

Per risolvere un conflitto bisogna accordarsi al pensiero di Gesù

Nella vita cristiana, anche se siamo chiamati ad amarci sempre gli uni gli altri, a volte ci sono dei conflitti tra di noi.

Queste due donne, Evodia e Sintiche, non erano concordi nel Signore. Εὐοδίαν παρακαλῶ καὶ Συντύχην παρακαλῶ τὸ αὐτὸ φρονεῖν 
ἐν κυρίῳ. Il senso della fronein è che bisogna avere gli stessi pensieri e le stesse disposizioni d’animo in quanto accordati con il pensiero di Cristo. Quando non abbiamo gli stessi pensieri, Dio ci comanda di rendere ogni pensiero ubbidiente a Cristo “facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo” (2 Corinzi 10:3-5). Cioè, non dovremmo decidere di testa nostra quale sia il comportamento giusto. Dio ci comanda, volta dopo volta, di imparare l’uno dall’altro.

aiutarsi

Paolo chiede ad una persona matura nella chiesa di intervenire personalmente e direttamente per aiutare queste due donne ad essere concordi nel Signore. “Sì, prego pure te, mio fedele collaboratore, vieni in aiuto a queste donne, che hanno lottato per il vangelo insieme a me, a Clemente e agli altri miei collaboratori i cui nomi sono nel libro della vita”. (Filippesi 4:3)
Non sappiamo chi sia la persona con cui Paolo parla. Forse era Epafrodito.
Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, e abbiamo bisogno di impegnarci a cercare l’un l’altro. Quindi, per essere sempre più concordi, abbiamo bisogno di passare tempo insieme, parlando insieme delle cose di Dio.

Atti 6,1-7

La Chiesa delle origini compie i suoi primi passi e affronta le prime difficoltà anche al suo interno. Luca parla di un «malcontento» che richiede una risposta da parte di coloro che sono preposti alla comunità. Al centro sta un problema di giustizia sociale, già sottolineato sia nella legislazione dell'AT, sia nella predicazione profetica: l'attenzione alle vedove. In questo caso tuttavia il problema diventa anche di relazione tra gruppi sociali diversi: giudei e Giudei provenienti dalla diaspora greca rientrati nella Madrepatria.
È davanti a questo conflitto che gli Apostoli prendono in mano la situazione: convocano una riunione allargata anche ai discepoli, discutono insieme la questione. Tutti. I problemi, infatti, non si risolvono facendo finta che non esistano!
Si arriva dunque ad una suddivisione di compiti, e gli Apostoli fanno una proposta che viene accolta da tutti: loro si dedicheranno alla preghiera e al ministero della Parola, mentre sette uomini, i diaconi, provvederanno al servizio delle mense per i poveri.

Il metodo suggerito per risolvere i conflitti è semplice: Dialogo, preghiera e rispetto dell’identità altrui.

Nessuna comunità cristiana è esente da conflitti. Per quanto appena accennati, essi emergono anche nel racconto ri­guardante la Chiesa delle origini. Tali conflitti non raramente sor­gono in relazione a problemi concreti e urgenti (come l’assistenza alle vedove del brano), pur nascondendo talora tensioni più pro­fonde. La presenza del conflitto, come pure delle inadempienze, non ci deve intimorire né scandalizzare.

lI criterio fondamentale di ogni ministero è la «parola di Dio», dalla quale scaturisce ogni «diaconia». I Dodici hanno saputo, in rife­rimento alla parola di Dio, affrontare la situazione di emergenza venutasi a creare senza tradire la specificità del proprio servizio. Non avrebbe avuto senso dedicarsi a risolvere il problema dell’as­sistenza alle vedove, privando tuttavia l’intera comunità cristiana del riferimento alla propria ragion d’essere, al dono di Dio cele­brato e annunciato.

- L’iniziativa dei Dodici contempla il sorgere di nuovi mini­steri in relazione ai bisogni emergenti. L’autenticità dell’e­sercizio del ministero si riconosce proprio quando esso è in grado di discernere il dono dell’altro e di consentirgli di fruttificare, fa­cendogli spazio.

- Si rende per questo necessario un attento discernimento di coloro che vengono incaricati di un ministero nella comunità. I cri­teri suggeriti sono molto puntuali. La profonda esperienza di fede donata dallo Spirito e questa capacità di comunicazione efficace della fede costituiscono insieme un segno decisivo della idoneità al ministero.

- Il testo suggerisce anche una particolare cura dei processi decisionali nella comunità.

- Un quadro di questo tipo richiede la disponibilità ad accet­tare e apprezzare le differenze tra i credenti, tra i ministeri, cer­cando l’armonia profonda che uno stile comunionale è in grado di realizzare.

preghiamo

Signore, ci sono giornate
nelle quali le cose non vanno bene,
siamo scontenti l'uno dell'altra,
è fatica rompere il silenzio,
portiamo nel cuore la divisione e l'amarezza.

Aiutaci a capire i nostri sbagli
e donaci il coraggio e l'umiltà
per riconoscerli e lasciarci correggere,
per chiedere e donare perdono.

Aiutaci a comprendere
la sofferenza e l'attesa che c'è nel cuore dell'altro,
donaci la forza del primo passo
che apre la strada all'intesa e all'amore.

Aiutaci a non far mai venir meno il dialogo 
nella nostra vita quotidiana,
a incontrarci sempre nella sincerità e nella verità.

Aiutaci perché anche nella fatica
delle difficoltà e dei conflitti
riusciamo a trovare un'occasione per crescere,
per imparare a perdonare,
per conoscerci meglio, per scoprire che l'amore
è più forte della nostra debolezza.

Aiutaci a comprenderci
e ad accoglierci nelle nostre diversità,
perché, anziché motivo di divisione,
esse diventino occasioni preziose
di unità e di ricchezza per noi e per gli altri.
Amen